martedì 31 marzo 2015

AUSILIARIE! - Non chiamateli eroi.



Non chiamateli eroi.

L’elenco delle ausiliarie

uccise dai partigiani 

dopo che si erano arrese

partigiani 

Amodio Rosa: 23 anni, assassinata nel luglio del 1947, mentre in bicicletta andava da Savona a Vado.
Antonucci Velia: due volte prelevata, due volte rilasciata a Vercelli, poi fucilata.
Audisio Margherita: Fucilata a Nichelino il 26 aprile 1945.
Baldi Irma: Assassinata a Schio il 7 luglio 1945.
Batacchi Marcella e Spitz Jolanda: 17 anni, di Firenze. Assegnate al Distretto militare di Cuneo altre 7 ausiliarie, il 30 aprile 1945, con tutto il Distretto di Cuneo, pochi ufficiali, 20 soldati e 9 ausiliarie, si mettono in movimento per raggiungere il Nord, secondo gli ordini ricevuti. La colonna è però costretta ad arrendersi nel Biellese ai partigiani del comunista Moranino. Interrogate, sette ausiliarie, ascoltando il suggerimento dei propri ufficiali, dichiarano di essere prostitute che hanno lasciato la casa di tolleranza di Cuneo per seguire i soldati. Ma Marcella e Jolanda non accettano e si dichiarano con fierezza ausiliarie della RSI. I partigiani tentano allora di violentarle, ma le due ragazze resistono con le unghie e con i denti. Costrette con la forza più brutale, vengono violentate numerose volte. In fin di vita chiedono un prete. Il prete viene chiamato ma gli è impedito di avvicinare le ragazze. Prima di cadere sotto il plotone di esecuzione, sfigurate dalle botte di quelle belve indegne di chiamarsi partigiani, mormorano: “Mamma” e “Gesù”. Quando furono esumate, presentavano il volto tumefatto e sfigurato, ma il corpo bianco e intatto. Erano state sepolte nella stessa fossa, l’una sopra l’altra. Era il 3 maggio 1945.
Bergonzi Irene: Assassinata a Milano il 29 aprile 1945.
Biamonti Angela: Assassinata il 15 maggio 1945 a Zinola (SV) assieme ai genitori e alla domestica.
Bianchi Annamaria: Assassinata a Pizzo di Cernobbio (CO) il 4 luglio 1945.
Bonatti Silvana: Assassinata a Genova il 29 aprile 1945.
Brazzoli Vincenza: Assassinata a Milano il 28 aprile 1945.
Bressanini Orsola: Madre di una giovane fascista caduta durante la guerra civile, assassinata a Milano il 10 maggio 1945.
Buzzoni Adele, Buzzoni Maria, Mutti Luigia, Nassari Dosolina, Ottarana Rosetta: Facevano parte di un gruppo di otto ausiliarie, (di cui una sconosciuta), catturate all’interno dell’ospedale di Piacenza assieme a sei soldati di sanità. I prigionieri, trasportati a Casalpusterlengo, furono messi contro il muro dell’ospedale per essere fucilati. Adele Buzzoni supplicò che salvassero la sorella Maria, unico sostegno per la madre cieca. Un partigiano afferrò per un braccio la ragazza e la spostò dal gruppo. Ma, partita la scarica, Maria Buzzoni, vedendo cadere la sorella, lanciò un urlo terribile, in seguito al quale venne falciata dal mitra di un partigiano. Si salvarono, grazie all’intervento di un sacerdote, le ausiliarie Anita Romano (che sanguinante si levò come un fantasma dal mucchio di cadaveri) nonché le sorelle Ida e Bianca Poggioli, che le raffiche non erano riuscite ad uccidere.
Carlino Antonietta: Assassinata il 7 maggio 1945 all’ospedale di Cuneo, dove assisteva la sua caposquadra Raffaella Chiodi.
Castaldi Natalina:Assassinata a Cuneo il 9 maggio 1945.
Chandrè Rina, Giraldi Itala, Rocchetti Lucia: Aggregate al secondo RAU (Raggruppamento Allievi Ufficiali) furono catturate il 27 aprile 1945 a Cigliano, sull’autostrada Torino – Milano, dopo un combattimento durato 14 ore. Il reparto si era arreso dopo aver avuto la garanzia del rispetto delle regole sulla prigionia di guerra e dell’onore delle armi. Trasportate con i loro camerati al Santuario di Graglia, furono trucidate il 2 maggio 1945 assieme ad oltre 30 allievi ufficiali con il loro comandante, maggiore Galamini, e le mogli di due di essi. La madre di Itala ne disseppellì i corpi.
Chiettini (si ignora il nome): Una delle tre ausiliarie trucidate nel massacro delle carceri di Schio il 6/7 luglio 1945.
Collaini Bruna, Forlani Barbara: Assassinate a Rosacco (Pavia) il 5 maggio 1945.
Conti – Magnaldi Adelina: Madre di tre bambini, assassinata a Cuneo il 4 maggio 1945.
Crivelli Jolanda: Vedova ventenne di un ufficiale del Battaglione “M” costretta a denudarsi e fucilata a Cesena, sulla piazza principale, dopo essere stata legata ad un albero, ove il cadavere rimase esposto per due giorni e due notti.
De Simone Antonietta: Romana, studentessa del quarto anni di Medicina, fucilata a Vittorio Veneto in data imprecisata dopo il 25 aprile 1945.
Degani Gina: Assassinata a Milano in data imprecisata dopo il 25 aprile 1945.
Ferrari Flavia: 19 anni, assassinata l’ 1 maggio 1945 a Milano.
Fragiacomo Lidia, Giolo Laura: Fucilate a Nichelino (TO) il 30 aprile 1945 assieme ad altre cinque ausiliarie non identificate, dopo una gara di emulazione nel tentativo di salvare la loro comandante.
Gastaldi Natalia: Assassinata a Cuneo il 3 maggio 1945.
Genesi Jole, Rovilda Lidia: Torturate all’hotel San Carlo di Arona (Novara) e assassinate il 4 maggio 1945. In servizio presso la GNR di Novara. Catturate alla Stazione Centrale di Milano, ai primi di maggio, le due ausiliarie si erano rifiutate di rivelare dove si fosse nascosta la loro comandante provinciale.
Greco Eva: Assassinata a Modena assieme a suo padre nel maggio del 1945.
Grill Marilena: 16 anni, assassinata a Torino la notte del 2 maggio 1945.
Landini Lina: Assassinata a Genova l’1 maggio 1945.
Lavise Blandina: Una delle tre ausiliarie trucidate nel massacro delle carceri di Schio il 6/7 luglio 1945.
Locarno Giulia: Assassinata a Porina (Vicenza) il 27 aprile 1945.
Luppi – Romano Lea: Catturata a Trieste dai partigiani comunisti, consegnata ai titini, portata a a Lubiana, morta in carcere dopo lunghe sofferenze il 30 ottobre 1947.
Minardi Luciana: 16 anni di Imola. Assegnata al battaglione “Colleoni” della Divisione “San Marco” attestati sul Senio, come addetta al telefono da campo e al cifrario, riceve l’ordine di indossare vestiti borghesi e di mettersi in salvo, tornando dai genitori. Fermata dagli inglesi, si disfa, non vista, del gagliardetto gettandolo nel Po. La rilasciano dopo un breve interrogatorio. Raggiunge così i genitori, sfollati a Cologna Veneta (VR). A metà maggio, arriva un gruppo di partigiani comunisti. Informati, non si sa da chi, che quella ragazzina era stata una ausiliaria della RSI, la prelevano, la portano sull’argine del torrente Guà e, dopo una serie di violenze sessuali, la massacrano. “Adesso chiama la mamma, porca fascista!” le grida un partigiano mentre la uccide con una raffica.
Monteverde Licia: Assassinata a Torino il 6 maggio 1945.
Morara Marta: Assassinata a Bologna il 25 maggio 1945.
Morichetti Anna Paola: Assassinata a Milano il 27 aprile 1945.
Olivieri Luciana: Assassinata a Cuneo il 9 maggio 1945.
Ramella Maria: Assassinata a Cuneo il 5 maggio 1945.
Ravioli Ernesta: 19 anni, assassinata a Torino in data imprecisata dopo il 25 aprile 1945.
Recalcati Giuseppina, Recalcati Mariuccia, Recalcati Rina:  Madre e figlie assassinate a Milano il 27 aprile 1945.
Rigo Felicita: Assassinata a Riva di Vercelli il 4 maggio 1945.
Sesso Triestina: Gettata viva nella foiba di Tonezza, presso Vicenza.
Silvestri Ida: Assassinata a Torino l’1 maggio 1945, poi gettata nel Po.
Speranzon Armida: Massacrata, assieme a centinaia di fascisti nella Cartiera Burgo di Mignagola dai partigiani di “Falco”. I resti delle vittime furono gettati nel fiume Sile.
Tam Angela Maria: Terziaria francescana, assassinata il 6 maggio 1945 a Buglio in Monte (Sondrio) dopo aver subito violenza carnale.
Tescari -Ladini Letizia: Gettata viva nella foiba di Tonezza, presso Vicenza.
Ugazio Cornelia, Ugazio Mirella: Assassinate a Galliate (Novara) il 28 aprile 1945 assieme al padre.
Tra le vittime del massacro compiuto dai partigiani comunisti nelle carceri di Schio (54 assassinati nella notte tra il 6 ed il 7 luglio 1945) c’erano anche 19 donne, tra cui le 3 ausiliarie (Irma Baldi, Chiettini e Blandina Lavise) richiamate nell’elenco precedente.
In via Giason del Maino, a Milano, tre franche tiratrici furono catturate e uccise il 26 aprile 1945. Sui tre cadaveri fu messo un cartello con la scritta “AUSIGLIARIE”. I corpi furono poi sepolti in una fossa comune a Musocco. Impossibile sapere se si trattasse veramente di tre ausiliarie.
Nell’archivio dell’obitorio di Torino, il giornalista e storico Giorgio Pisanò ha ritrovato i verbali d’autopsia di sei ausiliarie sepolte come “sconosciute”, ma indossanti la divisa del SAF.
Cinque ausiliarie non identificate furono assassinate a Nichelino (TO) il 30 aprile 1945 assieme a Lidia Fragiacomo e Laura Giolo.
Al cimitero di Musocco (Milano) sono sepolte 13 ausiliarie sconosciute nella fossa comune al Campo X.
Un numero imprecisato di ausiliarie della “Decima Mas” in servizio presso i Comandi di Pola, Fiume e Zara, riuscite a fuggire verso Trieste prima della caduta dei rispettivi presidi, furono catturate durante la fuga dai comunisti titini e massacrate.
Fonte: http://ausiliarie.blogspot.it/

 

domenica 29 marzo 2015

SIAMO NELLA CACCA!




SIAMO NELLA CACCA!

D’ALTRA PARTE DA QUESTA “REPUBBLICA NATA DELLA RESISTENZA COSA TI POTEVI ASPETTARE”?
dI Filippo Giannini
   Da dove comincio? Da Cristoforo Colombo? Perché non se ne è stato a casa? Da Colombo un saltino alla Dottrina Monroe, sarebbe necessario; ma diverrebbe un discorso troppo lungo. Allora partiamo da oggi: inizio questo articolo ai primi di giugno 2014, giorno dei Ludi Veneziani, dove, tanto per cambiare, sono stati arrestati alcuni politici, e di nuovo tanto per cambiare, intenti a rubare. Nulla di nuovo sotto il cielo di questa Repubblica nata dalla Resistenza. Ma da qualche parte debbo pur iniziare, e allora ricordiamo quanto ebbe a dire l’ineffabile Woodrow Wilson (non lo ricordate?) in una lezione alla Columbia University nell’aprile 1907; quando rivolgendosi a giovani studenti americani, dichiarò: <Dal momento che il commercio ignora i confini nazionali e il produttore preme per avere il mondo come mercato, la bandiera della sua nazione deve seguirlo, e le porte delle nazioni chiuse devono essere abbattute… Le concessioni ottenute dai finanzieri devono essere salvaguardate dai ministri dello stato, anche se in questo venisse violata la sovranità delle nazioni recalcitranti… Vanno conquistate o impiantate colonie, affinché al mondo non resti un solo angolo utile trascurato o inutilizzato>. Immaginate cosa sarebbe accaduto se queste parole fossero state pronunciate da un Mussolini o da un Hitler. Ma andiamo avanti.
   Oggi, per completare l’opera di distruzione, è in programma la svendita persino della Banca d’Italia e questa vendita, viene fatta passare dai carognoni, come un’operazione di salvataggio. Nessuna meraviglia: quest’opera di falsificazione è un tipico dei servizi inglesi e statunitensi che mirano di fare apparire il contrario di ciò che è nella realtà. Questi metodi tendono a rendere l’Italia un paese completamente soggiogato ad un sistema mafioso e criminale, come poi è avvenuto, al potere finanziario. Andiamo avanti e facciamo un saltino sino al 2 giugno 1992 e saliamo sul panfilo Britannia (da http://alfredodecclesia.blogspot.it/): <(Il Britannia), in navigazione lungo le coste siciliane. Sul panfilo c’erano alcuni appartenenti all’elite di potere anglo-americana, come i reali britannici e i grandi banchieri ai quali si rivolgerà il governo italiano durante la fase delle privatizzazioni (Merrill Lynch, Goldman Sachs e Salomon Brothers). In quella riunione si decise di acquistare le aziende italiane e la Banca d’Italia, e come far crollare il vecchio sistema politico per insediarne un altro, completamente manovrato dai nuovi padroni. A questa riunione parteciparono anche diversi italiani, come Mario Draghi, allora direttore delegato del Ministero del Tesoro, il dirigente dell’Eni Beniamino Andreatta e il dirigente dell’Iri Riccardo Galli. Fra i complici italiani possiamo trovare l’ex ministro del Tesoro Piero Barocci, l’allora Direttore di Bankitalia Lamberto Dini e l’allora governatore di Bankitalia Carlo Azeglio Ciampi. Alcune autorità italiane (come Dini) fecero il doppio gioco: denunciavano i pericoli ma in segreto appoggiavano gli speculatori. Gli intrighi decisi sul Britannia avrebbero permesso agli anglo-americani (come sta avvenendo, nda) di mettere le mani sul 48% delle aziende italiane, fra le quali c’erano la Buitoni, la Locatelli, la Negroni, la Ferrarelle, la Perugina e la Galbani (…). Nel giugno 1992 si insediò al governo Giuliano Amato. Un personaggio in armonia con gli speculatori che ambivano ad appropriarsi dell’Italia. Infatti Amato, per iniziare le privatizzazioni, si affrettò a consultare il centro del potere finanziario internazionale: le tre grandi banche di Wall Street, Merrill Lynch, Goldman Sachs e Salomon Brothers. Appena salito al potere, Amato trasformò gli Enti statali in Società per azioni, valendosi del decreto Legge 386/1991, in modo tale che l’elite finanziaria le potesse controllare, e in seguito rilevare. L’inizio fu concertato dal Fondo Monetario Internazionale che, come aveva fatto in altri paesi, voleva privatizzare selvaggiamente e svalutare la nostra moneta, per agevolare il dominio economico-finanziario dell’elite (…). Le reti della Banca Rothschild, attraverso il direttore Richard Katz, misero le mani sull’Eni (un gioiello mussoliniano, ndr), che venne svenduta. Il gruppo Rothscild ebbe un ruolo preminente anche sulle altre privatizzazioni, compresa quella della Banca d’Italia (…). Dietro tutto questo c’era l’elite economico finanziaria (Morgan, Schiff, Harriman, Kahn, Warburg. Rockefeller, Rothschild ecc), che ha agito preparando un progetto di devastazione dell’economia italiana e lo ha attuato valendosi di politici, di finanzieri e di imprenditori (…). Grazie alle privatizzazioni, un gruppo ristretto di ricchi italiani ha acquisito somme enormi, e ha permesso all’elite economico finanziaria anglo-americana di esercitare un pesante controllo sui cittadini, sulla politica e sul paese intero (…)>.
   Come siamo arrivati a questo? Per una risposta più prossima alla verità, ci dobbiamo spostare alla metà degli anni ’30 dello scorso secolo. Ecco come lo storico Rutilio Sermonti dichiara (L’Italia nel XX Secolo): <La risposta poteva essere una sola: perchè le plutocrazie volevano un generale conflitto europeo, quale unica risorsa per liberarsi delle Germania – formidabile concorrente economico – e soprattutto dell’Italia. Questo è necessario comprendere se si aspira a evidenziare la verità storica: soprattutto dell’Italia>. Infatti il reale avversario delle plutocrazie erano i fascismi con le loro idee e proposte sociali, idee che si stavano espandendo in tutto il mondo; ecco, allora, la necessità di spingere la Germania e l’Italia alla guerra attraverso provocazioni e minacce.
   Proviamo ad approfondire. Nel novembre 2011, sia l’Italia che la Grecia hanno subito un golpe bianco, senza che i rispettivi popoli ne abbiano preso conoscenza. Chi sono gli autori del golpe bianco? Il governo tecnico di Papademos in Grecia, e il governo tecnico di Monti in Italia. Chi sono questi personaggi? Da dove provengono? Entrambi erano membri della Commissione Trilaterale di quel soggettino che ha nome David Rockefeller, appartenente ad una delle tredici famiglie che da sempre hanno dominato il mondo attraverso l’economia e la finanza. Quelle famiglie che il fascismo ha tentato di combattere. Tutto ciò era stato ben compreso da quello che, chi scrive queste note, considera il più grande politico dello scorso secolo: Benito Mussolini. Ecco con quanta lungimiranza e lucidità il 7 febbraio 1944 (!) scriveva: <(…): Il progetto statunitense, in parole povere, si può dunque riassumere così: tutte le nazioni porteranno i loro risparmi nelle casse del Tesoro americano, che  li amministrerà pro domo sua. Secondo tale piano, infatti, il governo di Washington si assicura, nell’amministrazione del Fondo internazionale di livellamento dei cambi, di cui propone la costituzione; il numero di voti sufficienti per essere in grado di fermare qualsiasi decisione contraria al suo interesse. In tal modo gli Stati Uniti, oltre all’accaparramento in corso di attuazione delle basi navali ed aeree del mondo e alla creazione delle più potenti flotte navali e aeree di guerra e commerciali, indispensabili ai loro piani imperialistici, avrebbero anche finanziariamente tutte le altre nazioni alla loro mercè (…)>.
   Quanto sin qui scritto è solo una parte microscopica della storia mondiale, ma sufficiente per comprendere come ci hanno portato nella cacca. I passaggi essenziali partono dalla Dottrina Monroe (elaborata in realtà da Quincy Adams), ma ci dobbiamo spostare ai primi del 1800, con la quale Monroe espresse l’idea della supremazia degli Stati Uniti nel continente americano, e da qui è facile passare alla supremazia nel globo intero. Oggi possiamo contare da quelle enunciazioni almeno cento guerre condotte dagli Stati Uniti al di fuori del continente americano. Tutte guerre d’aggressione per affermare il potere finanziario anglo-americano. Come poco sopra scritto, il fascismo provò a fermare tutto ciò, ma fu sopraffatto dal grande capitale.
   La domanda: visto che siamo nella cacca, c’è un modo per uscirne? Non so dare una risposta, ma ritengo che questa se c’è si trova nelle teorie mussoliniane, dovremmo, in pratica, ma sia chiaro questo è una mia personale affermazione, dovremmo ripartire dall’aprile del 1945, perché in quella data possiamo vedere come il nostro futuro fu compromesso e ci fu rapinato.
   In ogni caso vedo il futuro nostro e di chi ci seguirà molto, ma molto oscuro.
   Certo la propaganda è stata asfissiante, ma siamo pure un tantinello imbecilli, soprattutto perché c’è tanta gente che ancora accorda fiducia a certi personaggi ben individuabili.
   Concludo: e pensare che c’è ancora qualcuno che ci  propone di festeggiare il giorno della liberazione.
   Poveri noi!


venerdì 27 marzo 2015

EROINE DEL S.A.F. FRANCA BARBIER








LE PRIME AUSILIARIE CADUTE IN SERVIZIO FURONO ROSA ANNIBALI, MARIA CENTAZZO, SANTINA SCAPAT, TERESA MENDER E ROSINA MARCHIOLI, CHE RESTARONO UCCISE  IL 26 LUGLIO 1944 IN SEGUITO ALL’ ATTENTATO COMPIUTO DAI “GAPPISTI” A CA’ GIUSTINIAN, SEDE DELLA FEDERAZIONE DEI FASCI REPUBBLICANI DI VENEZIA


FRANCA BARBIER AUSILIARIA. 

SERVIZI SEGRETI DELLA RSI. 
MEDAGLIA D’ORO.

Alla memoria dell’eroica Ausiliaria è stata decretata la Medaglia d’Oro, con la seguente motivazione:
«Franca Barbier: catturata dai partigiani manteneva un contegno deciso, rifiutando di entrare a far parte della banda e riaffermando la sua intransigente fedeltà all’Idea.
Condannata a morte dal tribunale dei fuorilegge, le fu promessa la vita se avesse rinunziato ai principi suoi. Rimasta ferma nella sua fede e portata davanti al plotone di esecuzione, ebbe la forza di gridare: – Viva l’Italia! Viva il Duce! – ordinando il fuoco. Fu uccisa dal capo con un colpo alla nuca. Fulgido esempio di volontaria, la sua morte è fonte di luce».
La Salma viene rintracciata solo nell’ottobre del ’46. Oggi riposa nella tomba di famiglia, accanto al fratellino Franco, morto a pochi anni. 

L’ ULTIMA LETTERA INVIATA DA FRANCA BARBIER ALLA MADRE  POCHE ORE PRIMA DI ESSERE UCCISA. IL COMPORTAMENTO DELLA GIOVANE FASCISTA REPUBBLICANA COMMOSSE I PARTIGIANI CHE DOVEVANO FUCILARLA AL PUNTO CHE QUESTI SI RIFIUTARONO DI SPARAGLI. IL COMANDANTE DEL PLOTONE DI ESECUZIONE, ALLORA, UN EX MARESCIALLO DELL’ ESERCITO, FULMINO’ FRANCA CON UNA PALLOTTOLA NELLA TEMPIA. LA SALMA DELLA GIOVANE VENNE RECUPERATA SOLTANTO NEL 1946.
24-7-44- XXII
Mamma mia adorata,
purtroppo è giunta la mia ultima ora. E’ stata decisa la mia fucilazione che sarà eseguita domani, 25 luglio. Sii calma e rassegnata a questa sorte che non è certo quella che avevo sognato. Non mi è neppure concesso di riabbracciarti ancora una volta. Questo è il mio unico, immenso dolore. Il mio pensiero sarà fino all’ultimo rivolto a te e a Mirko. Digli che compia sempre il suo dovere di soldato e che si ricordi sempre di me. Io il mio dovere non ho potuto compierlo ed ho fatto soltanto sciocchezze, ma muoio per la nostra Causa e questo mi consola.
E’ terribile pensare che domani non sarò più; ancora non mi riesce di capacitarmi. Non chiedo di essere vendicata, non ne vale la pena, ma vorrei che la mia morte servisse di esempio a tutti quelli che si fanno chiamare fascisti e che per la nostra Causa non sanno che sacrificare parole.
Mi auguro che papà possa ritornare presso di te e che anche Mirko non ti venga a mancare. Vorrei dirti ancora tante cose, ma tu puoi ben immaginare il mio stato d’animo e come mi riesca difficile riunire i pensieri e le idee. Ricordami a tutti quanti mi sono stati vicini. Scrivi anche ad Adolfo, che mi attendeva proprio oggi da lui. La mia roba ti verrà recapitata ad Aosta. Io sarò sepolta qui, perché neppure il mio corpo vogliono restituire. Mamma, mia piccola Mucci adorata, non ti vedrò più, mai più e neppure il conforto di una tua ultima parola, né della tua immagine. Ho presso di me una piccola fotografia di Mirko: essa mi darà il coraggio di affrontare il passo estremo, la terrò con me.
Addio mamma mia, cara povera Mucci; addio Mirko mio. Fa sempre innanzitutto il tuo dovere di soldato e di italiano. Vivete felici quando la felicità sarà riconcessa agli uomini e non crucciatevi tanto per me; io non ho sofferto in questa prigionia e domani tutto sarà finito per sempre.
Della mia roba lascio te, Mucci, arbitra di decidere. Vorrei che la mia piccola fede la portassi sempre tu per mio ricordo. Salutami Vittorio. A lui mi rivolgo perché in certo qual modo mi sostituisca presso di te e ti assista in questo momento tragico per noi Addio per sempre, Mucci! Franca
in:”LETTERE DEI CADUTI DELLA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA” L’Ultima Crociata Editrice. 1990. Associazione Nazionale Famiglie Caduti e Dispersi della RSI





LA FASCISTA REPUBBLICANA FRANCA BARBIER,

MEDAGLIA D’ ORO AL VALOR MILITARE ALLA MEMORIA.

FRANCA BARBIER ALLA QUALE ERA STATO AFFIDATO L’ INCARICO DI INDIVIDUARE ALCUNE BASI PARTIGIANE DELL’ ALTA VALLE, CADDE IN UN TRANELLO : CONDANNATA A MORTE DAL CAPO BANDA “AUTONOMISTA” CESARE OLIETTI, DETTO “MESARD” AFFRONTO’ CORAGGIOSAMENTE IL P0LOTONE D’ ESECUZIONE IL 25 LUGLIO 1944.

AVEVA 21 ANNI




Inno del Servizio Ausiliario 
"Canta giovinezza"
Canta, giovinezza, la canzon del cuore
presa dall’ebbrezza e da un comune ardore.
È la Patria amata
che rinasce alata
la Patria che di luce splende ancora.
Noi ci recheremo in guerra
se la Patria lo vorrà.
Morirem su nostra terra
e se l’Italia vice
bello pur sarà.
È nata dal dolore
nel cuore la fiamma ardente
che le ali ci darà.
È la nostra prima guerra
lo giuriam, si vincerà!

Preghiera del Servizio Ausiliario

Preghiera dell'ausiliaria
Signore del Cielo e della Terra,
accogli l’umile, ardente preghiera
di noi, donne italiane,
che sopra gli affetti più cari,
poniamo Te o Signore, e la Patria.
Benedici le nostre case lontane,
benedici il lavoro delle nostre giornate,
raccogli, come offerta di redenzione
per la Patria tradita,
il sangue degli eroi, dei martiri,
il pianto delle madri private dei figli,
il singhiozzante grido dei bimbi
privati delle madri per
la sadica ferocia nemica.
Fa, o Signore, che la resurrezione
della Patria sia vicina,
concedi la vittoria.
Benedici sul mare l’Italia,
sulle terre insanguinate ed oppresse,
su tutti i cieli, la Bandiera Repubblicana,
libera, potente, sicura.
Benedici i nostri morti in noi sempre vivi,
che levano verso Te, su in alto,
la Bandiera d’Italia
che mai
sarà ammainata.
Conservaci il Duce.
Benedici.



I CRIMINALI AMERI-CANI


IN RICORDO DI GIULIA TARTAGLIA

Omaggio alla giovane nettunese stuprata e uccisa dai soldati americani

Il 22 Febbraio 1944, era un giorno particolare per la popolazione di Nettunia, occupata da un mese dagli eserciti angloamericani. Fallita oramai, in modo clamoroso, ogni velleità offensiva contro le difese germaniche di Cassino, gli invasori angloamericani si trovarono bloccati sulla testa di sbarco di Nettunia, impossibilitati a muoversi. L’operazione anfibia, che avrebbe dovuto portare gli Angloamericani sui Colli Albani e, quindi, permettere agevolmente di conquistare Roma, era fallita e ci si trovò bloccati in quello che i Tedeschi, con sarcasmo, definirono il più grande “campo di concentramento” autogestito del mondo. In questa situazione di stallo, la popolazione civile rimasta bloccata all’interno della testa di ponte dovette essere – con le buone e con le cattive – espulsa dal territorio: iniziava così la deportazione di intere famiglie nel Meridione già occupato. Il 22 Febbraio 1944, fu la volta dello sfollamento obbligatorio per la famiglia Tartaglia. La giovane Giulia, di appena 17 anni, prima di raggiungere il punto di imbarco, volle salutare per l’ultima volta la sua casa, magari prendere un piccolo ricordo da portare con se in quel viaggio pieno di incognite e di speranze. Mai decisione fu più funesta. Giunta nei pressi della sua abitazione, posta all’incrocio tra Via Gorizia e Via Monte Grappa in Nettunia Centro (l’attuale Nettuno), incontrò dei soldati afroamericani. Fu l’inizio di un lungo calvario: stuprata e poi sventrata con un grosso pugnale. Il corpo composto in una cassa di legno provvisoria, fu tumulato senza tante cerimonie nel locale cimitero e la sua storia dimenticata – volutamente – da tutti. A 70 anni da quell’evento luttuoso, il Comitato Pro 70° Anniversario dello Sbarco di Nettunia ha posto sul luogo della morte di Giulia Tartaglia un mazzo di fiori, per ricordare alle Istituzioni assenti un dramma tenuto nascosto per interi decenni.
«E’ con particolare tristezza – ha dichiarato il Dott. Pietro Cappellari, Responsabile culturale del
Comitato  Pro  70°  Anniversario  dello  Sbarco  di  Nettunia  –  che  adempiamo  ad  un  opera  di supplenza istituzionale. A 70 anni da quegli eventi, la povera Giulia non ha ancora la dignità di un ricordo. Certo, si trattò di un episodio marginale nel contesto dell’immane conflitto che sconvolse i continenti, ma l’opera di occultamento di questo crimine di guerra non ha giustificazione di sorta, se non nell’omertà e nel servilismo di troppi che si sono piegati alla falsa mitologia dei “liberatori”. Abbiamo proposto all’Amministrazione comunale di ricordare Giulia Tartaglia con una lapide posta sul luogo del suo assassinio. Non abbiamo mai ricevuto risposta.
Speriamo che nessuno, come oggi va di moda, pensi di dare la cittadinanza onoraria delle nostre città anche a quei barbari che con tanta violenza infierirono sulla nostra piccola concittadina».

Ufficio Stampa Comitato Pro 70° Anniversario dello Sbarco di Nettunia
Da Ares Agenzia di Notizie


                                                                            












mercoledì 25 marzo 2015

DA VIA RASELLA ALLE FOSSE ARDEATINE (Ballerino Vincenzo)

Da Via Rasella alle Fosse Ardeatine

Oggi parleremo di uno degli attentati piú conosciuti e piú discussi, riguardante la miserabile, volgare e terroristica azione partigiana avvenuta a Roma durante il 2° conflitto mondiale: L’attentato di via Rasella.
Questo attentato è emblematico perchè rappresenta una ulteriore riconferma della strategia esclusivamente terroristica e criminale dei partigiani comunisti. Si tratta infatti di un’operazione (se cosí si puó chiamare) dal punto di vista militare dal valore assolutamente nullo, ma di grande impatto emotivo per la reazione che avrebbe provocato dopo la scontata rappresaglia tedesca. Essendo inoltre un’operazione priva di pericoli conferma anche l’essenza pusillanime dei partigiani, in quanto essa non metteva in difficoltà coloro che l’avessero eseguita.
Il giorno dopo l’arresto di Mussolini, 25 luglio 1943, si insedió il primo governo antifascista, il cui capo era il maresciallo Badoglio.
La cittá di Roma aveva subito un primo bombardamento il 19 luglio, e il 13 agosto bombardieri statunitensi replicarono con un secondo bombardamento. Nei due bombardamenti morirono oltre 2.000 civili innocenti e parecchie altre migliaia rimasero feriti, senza casa e lavoro. In città venivano così a mancare servizi essenziali, mentre la fame si diffondeva e la vita nella capitale diventava sempre piú dura. Cosí in tutta fretta, il 14 agosto, il giorno dopo il secondo bombardamento, il governo Badoglio dichiaró unilateralmente Roma “Città Aperta”.
Nonostante Roma fosse stata dichiarata “cittá aperta”, fu nuovamente bombardata numerose volte, sino al giorno della sua occupazione da parte delle truppe alleate, il 4 giugno 1944. E’ in questo quadro, segnato dai bombardamenti alleati, dalle retate contro i partigiani effettuate dai tedeschi e militari della RSI, che si arriva alla fatidica data del 23 marzo 1944, giorno scelto dai partigiani perchè a quella data cadeva il 25° anniversario della fondazione dei “Fasci Italiani di Combattimento”.
Intanto il governo Badoglio aveva giá da tempo emesso proclami nei quali si esortava (cioé esortava i partigiani) a non commettere attentati per nessun motivo, perché era ovvio che ad ogni attentato sarebbe inesorabilmente seguita una rappresaglia. Nonostante ciò i partigiani, noncuranti delle tragedie ai danni della popolazione, di cui sarebbero stati causa, eseguirono l’attentato, quel tristemente famoso 23 marzo.
Autori dell’attentato, i Gruppi di Azione Patriottica (GAP), che erano bande di criminali direttamente dipendenti dalla Giunta Militare, a sua volta dipendente dal Comitato di Liberazione Nazionale (CLN). I responsabili del CLN erano i seguenti banditi comunisti: Sandro Pertini, Giorgio Amendola e Riccardo Bauer, quest’ultimo appartenente al Partito d’Azione.
L’ordine di eseguire l’attentato fu dato dai responsabili della Giunta militare. (Anni dopo, sia Pertini che Bauer dichiareranno di non essere a conoscenza della preparazione dell’imboscata e scaricarono la colpa su Amendola, affermando che non erano stati avvertiti. Nonostante le affermazioni dei due siano false, Amendola confermò tutto e si assunse la responsabilità di aver ordinato quell’attentato).
Per l’esecuzione dell’attacco furono impiegati i GAP centrali, criminali incalliti che già dal periodo successivo all’8 settembre 1943 avevano compiuto numerose azioni di guerriglia urbana nella zona del centro storico. Numerosi quindi furono i partigiani che avrebbero partecipato all’azione, dei quali uno di essi, travestito da spazzino, avrebbe dovuto innescare un ordigno nascosto all’interno di un carrettino della nettezza urbana, mentre gli altri, ad esplosione avvenuta, avrebbero dovuto attaccare i tedeschi superstiti, con pistole e bombe a mano.
Il compito di far esplodere la bomba fu affidato al partigiano Rosario Bentivegna (“Paolo”), studente in medicina, il quale il 23 marzo si avviò, dal nascondiglio dei GAP nei pressi del Colosseo, verso via Rasella, travestito da spazzino e portandosi dietro il carrettino della nettezza urbana contenente l’ordigno.
Dopo essersi appostato ed aver atteso circa due ore in più, rispetto alla consueta ora di transito della compagnia tedesca per via Rasella, alle 15.52, vedendo che quest’ultima si stava avvicinando, accese la miccia, preparata per far esplodere la bomba dopo circa 50 secondi, tempo che si era calcolato, servisse ai tedeschi per percorrere il tratto di strada compreso tra un punto a valle usato per la segnalazione ed il carrettino posizionato piú in alto, davanti a Palazzo Tittoni.
Poco dopo l’esplosione due squadre dei GAP, una composta da sette uomini l’altra da sei, sotto il comando di Franco Calamandrei detto “Cola” e Carlo Salinari detto “Spartaco”, completarono l’opera lanciando le bombe a mano e facendo fuoco sui sopravvissuti all’esplosione.
Nell’immediatezza dell’evento rimasero uccisi 32 militari ITALIANI alto-atesini inquadrai nella Wermacht (e non tedeschi o delle SS come raccontano in televisione!!!) mentre altri 110 rimasero feriti, oltre a 2 vittime civili (Antonio Chiaretti e un ragazzino di tredici anni, Pietro Zuccheretti) piú altri quattro civili feriti.
Dei soldati feriti, uno morì poco dopo il ricovero, mentre era in corso la preparazione della rappresaglia, che fu dunque calcolata in base a 33 vittime germaniche. Nei giorni seguenti sarebbero deceduti altri 9 militari feriti, portando così a 42 il totale dei caduti; ció significa che se i tedeschi avessero atteso piú tempo per effettuare la rappresaglia, i civili italiani uccisi non sarebbero stati 335, ma 420.
La decisione del comando nazista fu la conta di 10:1, cioé 10 ostaggi fucilati per ogni tedesco ucciso.

La fucilazione degli ostaggi fu ordinata personalmente da Adolf Hitler. >> Va detto che la convenzione dell’Aia del 1907 e la Convenzione di Ginevra del 1929 nel contemplare il concetto di rappresaglia ne limitano fortemente l’ ampiezza secondo i criteri di proporzionalità rispetto all’entità dell’offesa subita, nella selezione degli ostaggi (non indiscriminata) e della salvaguardia delle popolazioni civili. (a questo proposito bisogna dire che le truppe Americane, Inglesi, Francesi e Russi, attuarono in modo indiscriminato coefficienti di rappresaglia che andava da 25:1 fino 200:1 ) <<
L’ordine di esecuzione fu dato direttamente da Hitler e riguardò 320 persone, poiché inizialmente erano morti 32 soldati tedeschi. Durante la notte successiva all’attacco di via Rasella morì un altro soldato tedesco e Kappler, di sua iniziativa, decise di uccidere altre 10 persone. Non si é mai capito perché al numero delle vittime nell’ elenco dei tedeschi su cui eseguire la rappresaglia, furono aggiunte 5 persone in più. .
Nel dopoguerra, Herbert Kappler venne processato e condannato all’ergastolo da un tribunale italiano e rinchiuso in carcere. Secondo i giudici la condanna riguardò i 15 giustiziati non compresi nell’ordine di rappresaglia datogli per vie gerarchiche; la rappresaglia avrebbe dovuto riguardare secondo l’accusa, i soli 32 militari morti sul colpo e no quelli morti successivamente che portarono a 33 i morti il giorno dopo e men che meno i successivi 9 che morirono nei giorni successivi. (che comunque non furono inclusi nel calcolo di rappresaglia).
A questa triste vicenda vengono mosse aspre critiche dai due schieramenti.
Secondo i critici, ed alcuni militari tedeschi sopravvissuti, i 156 uomini della 11ª compagnia del battaglione Bozen (Bolzano!) coinvolti nell’attacco, comandati dal maggiore Helmut Dobbrick, non erano un reparto operativo ma solo riservisti altoatesini entrati nell’esercito tedesco per affinità etniche ed aggregati al Polizei Regiment Bozen della Wehrmacht, con compiti di semplice vigilanza urbana. Altre testimonianze, al contrario parlano di “partecipazione” del Reg. Bozen ad alcuni rastrellamenti.
Ai famigliari dei due civili morti nell’attentato non è mai stato riconosciuto alcun risarcimento dalla magistratura italiana, in quanto l’attacco è stato catalogato come legittimo atto di guerra  >> (una vera mascalzonata, di cui solo la magistratura italiana é capace, perché nessun atto terroristico per di piú anonimo, puó essere paragonato ad un atto di guerra, infatti nessun regolamento internazionale di guerra ha mai minimamente supportato questa tesi, esiste inoltre una sentezza del Tribunale Supremo Militare Italiano, che in data 26 aprile 1954, ha emesso la sentenza n. 747 che nega nella maniera piú assoluta, ai partigiani la qualifica di combattenti regolari).<<
L’attentato fu perpetrato dai partigiani nonostante fosse noto che i tedeschi applicassero in rapporto di 10:1 la rappresaglia per ogni attacco subito, come accadde in numerosi altri casi.
I partigiani, in tutte le loro criminali azioni non contemplarono mai il problema della sicurezza dei civili, essi erano ben consapevoli di ció che i lori crimini causavano alla popolazione. I loro atti furono sempre dettati dall’odio ideologico, non dal senso del patriottismo e della libertá, il loro unico obiettivo era quello di esasperare la popolazione per aizzarla contro i tedeschi e contro il Fascismo (accaddero episodi che videro dei civili scagliarsi anche contro i partigiani, con atti di vendetta per quanto da essi avevano subito o facendo alle autoritá delle denunce ben precise, tramite le quali poi venivano catturati, accadde anche che i partigiani venissero a saper chi li aveva denunciati; in casi del genere questi uomini venivano assassinati cercando di far ricadere la colpa sui tedeschi o sui Fascisti).
Il giorno dopo l’attentato, cioé il 24 marzo i tedeschi conclusero l’operazione di rappresaglia con l’uccisione di 335 civili, presso delle antiche cave di pozzolana (una pietra granulosa di origine vulcanica), che si trovano nei pressi della via Ardeatina, scelte quali luogo dell'esecuzione e per occultare i cadaveri degli uccisi. Da allora chiamate “Fosse Ardeatine”.
Quando Kappler fu processato affermó che la rappresaglia di 335 prigionieri si sarebbe potuta forse evitare, se gli attentatori si fossero consegnati alle autorità tedesche, come nel noto caso di Salvo D’Acquisto (in questo specifico caso i tedeschi sapevano che il valoroso Carabiniere era innocente, ma a causa delle leggi che regolano la rappresaglia, non poterono esimersi dall’accogliere la non vera ma eroica ammissione di colpa di Salvo d’Acquisto) .
Di per se la rappresaglia era assolutamente giustificata e legale (Convenzione dell’Aja e Tribunale di Norimberga). Quello che non tornava era il numero dei morti: 335 invece dei 320 (o 330 tenendo conto del soldato morto prima della rappresaglia stessa). Sui 5 morti in più vi sono varie ipotesi: c’è chi sostiene si trattasse di soldati tedeschi che si erano rifiutati di sparare e che Kappler non avrebbe nominato per non infangare l’esercito tedesco, ma ci sono altre ipotesi, come quella che afferma che dopo le esecuzioni, quando Kappler ebbe in mano l’elenco delle persone uccise e si sarebbe accorto che erano 335 e non 330, disse a Priebke <<ma c’é un errore, sono 5 in piú!>>. Ma quei 5 in piú erano ormai là ..morti. Qualcuno che avanza un'ipotesi che ci sembra alquanto strampalata, cioé che quei 5 uomini in piú, fossero scomodi testimoni, (testimoni di cosa?) e quindi uccisero anche loro.
Una ulteriore testimonianza, sulla liceitá della rappresaglia tedesca (e mi trema la mano nello scrivere ed affermare questo, perché erano italiani quelle persone che caddero sotto i colpi tedeschi) si é espresso l’ultimo processo celebrato alcuni anni fa contro Erich Priebke, il capitano del SS, assistente di Kappler, coinvolto anch'egli in questi avvenimenti.
Infatti i legali dell’accusa e di parte civile, nel processo che tenne nel 1996, si dovettero aggrappare a quei 5 morti in piú perché altrimenti la tesi dell’accusa sarebbe decaduta.
(anche se poi nel successivo processo i magistrati si resero ostaggio di tumulti organizzati e modificarono la prima sentenza, che era di assoluzione).
La mia mano é molto ferma invece, nell’accusare i partigiani quali veri ed unici responsabili di tutta questa amara vicenda.
Vi sono alcuni che affermano che l’attentato di Via Rasella (dal quale scaturisce appunto, la rappresaglia delle fosse Ardeatine) fu studiato espressamente per causare la rappresaglia; io non sarei d'accordo su questo per un motivo molto semplice; come giá accennato, i partigiani non si curavano assolutamente della popolazione, per cui non studiavano i loro attentati col quel preciso scopo; per loro “il civile” non aveva nessuna rilevanza, essi erano un elemento sottoposto in maniera coatta al sacrificio, ció che importava erano solo gli interessi ideologici della resistenza.
Nessuna azione partigiana ebbe mai la benché minima parvenza di una azione che poteva dirsi accettabilmente “militare”. I loro atti erano la conseguenza dell’odio ideologico fine a se stesso, nelle loro azioni c’era soltanto il gusto di uccidere i tedeschi, i fascisti e tutti coloro che non combattevano per portare il comunismo stalinista in Italia; e infatti lo scopo tutt’altro che militare dell'attentato fu raggiunto in pieno.
La ruvida accozzaglia partigiana e la sua fetida progenie, allora come oggi, forte di un controllo mediatico totale (che osano definire democratico) nascondendo e storpiando la veritá storica, hanno assunto in modo fraudolento la figura di salvatori e protettori della libertá, tant’é che l’eccidio delle Fosse Ardeatine è strumentalmente diventato un simbolo della ‘Lotta di Liberazione‘, frutto dell’eroismo dei “combattenti per la libertà” e uno baluardo contro qualsiasi nostalgia.
 
                                                                                            Ballerino Vincenzo