lunedì 30 novembre 2015

TERRORISMO TUTTA COLPA DELL'ISLAM? OPPURE...





Terrorismo tutta colpa dell’Islam? Oppure…
 
di Amani Salama
 
Per molti la nuova strage di Parigi sarebbe l’ennesima conferma di quello che titola Libero, “Bastardi islamici” o “questo è l’Islam”. Tutta la vita politica europea sarà sconvolta per lungo tempo e ora si può ricominciare a dare la responsabilità di quello che succede a oltre un miliardo di persone. Gli imprenditori della paura in tutta Europa non aspettavano altro per cominciare il loro proselitismo politico ambendo alla raccolta di consensi poiché Il potere delle parole è decisivo per la costruzione e il consolidamento del consenso sociale. E come potrebbero avere torto se viene generalizzato il problema e la colpa diventa di tutti indistintamente.
 
Ma l’Islam e la mitologia del Califfato sono tutte sovrastrutture, addobbi di una questione geopolitica molto precisa, il caos in cui è sprofondato il Medio Oriente con l’aiuto degli Stati Uniti e di un pezzo di Europa.
 
Se analizziamo quello che è il Medioriente oggi attraverso una rilettura della Storia, anche quella europea, scopriremo che, in alcuni periodi storici, quando è stata generalizzata la colpa a una etnia o gruppo religioso si sono aperti gli anni bui che sono terminati con i massacri di questi capri espiatori.
 
Per questo motivo indispensabile è inquadrare i fatti di Parigi, e coloro che si sono resi responsabili di questi fatti, all'interno di una cornice politica, geopolitica ed economica, e non religiosa. Tuttavia politici e giornalisti embedded ancora continuano a ripeterci incessantemente le stesse menzogne perché la menzogna è l’indiscussa protagonista del discorso pubblico contemporaneo.
 
Ed è solo l’inizio, la Russia con il suo intervento in Siria ha cambiato inevitabilmente il quadro politico mondiale. Il piano di ridisegnare la mappa del Medioriente a vantaggio dei detentori di energia è fallito miseramente, in un solo mese l’Isis è stata colpita duramente dai bombardamenti russi proprio dov’è nata. Dopo l'intervento russo più di un milione di siriani sono tornati a casa, ma la notizia del rimpatrio è stata completamente ignorata dai mass media occidentali.
 
Da Parigi comincia una nuova fase della storia europea, ora i suoi manovratori spostano l’offensiva in Europa. L’obbiettivo è chiarissimo terrorizzare il vecchio continente, costringerlo a vivere nella paura che è la più potente arma di controllo delle masse. "Dobbiamo essere pronti a cedere una parte delle nostre libertà" dice il procuratore nazionale antiterrorismo Franco Roberti.
 
Del resto l’airbus abbattuto qualche giorno fa nel Sinai in termini di sangue russo innocente equivale al massacro parigino, anzi più grande. Ma nella stampa internazionale è stato trattato come un lutto di secondo piano. Dal momento che il bersaglio è russo manca completamente quella cifra di commozione che invece abbiamo sempre visto in altri casi, quando sono state l’Europa o l’America ad essere colpite.
 
Ma l’attentato all’aereo russo è stato il primo attacco del secondo che è arrivato venerdì a Parigi. La Francia assieme alla Germania a quanto pare stavano cambiando rotta per uscire dal cappio americano in cui erano state imprigionate anche in Ucraina. Ed è evidente che quello che è successo ieri a Parigi sembra un chiaro avvertimento al governo di Hollande. Hollande ha reagito con parole dure: “Condurremo una guerra senza pietà”.
 
Ma le conclusioni non cambiano i manovratori sono sempre gli stessi, il sedicente “programma di lotta contro il terrorismo” di Washington in Iraq e in Siria consiste nel sostenere sottobanco i terroristi.
 
Il fanatismo islamico è solo un’attenuante che serve per trascinarci facilmente nella guerra contro l’Islam, ma non è dall’Islam che bisogna difendersi e non dimentichiamo che fino ad ora sono stati proprio gli islamici, Siriani, Iraniani e Curdi, a combattere l'Isis. Non è con l'estremismo islamico che si è costruito un esercito, quello dell’Isis, di 70 mila uomini. Ci vogliono risorse equivalenti a quelle di uno stato per creare una tale potenza, per formare decine di migliaia di combattenti, e per spedirli in ogni parte del mondo. La storia si ripete e lo scontro di civiltà è solo fumo negli occhi mentre la realtà è altrove, l’Isis è una realtà composita fatta di una parte di occidente, di servizi segreti vari e delle petromonarchie del Golfo che hanno ricchezze sterminate e che con il capitale finanziano e appoggiano l’Isis.
 
Assurdo, all’Isis sembrano non bastare i bombardamenti russi o le misteriose bombe degli Stati Uniti, che in un anno non hanno creato danni, e vogliono che anche la Francia ora si faccia avanti per bombardarli. E non solo la Francia, hanno minacciato tutti e il panico è arrivato anche nelle altre città europee Roma, Atene, Lisbona, Londra dove avevano cominciano a serpeggiare i movimenti popolari che non sono più d’accordo con la linea politica dei loro dirigenti e delle loro istituzioni europee. Abbiamo visto tutti benissimo, tre anni fa, le decine di fotografie scattate in Siria del senatore americano Mc Cain con al Baghdadi e altri leader terroristi dell’Isis e Al Nosra e Mc Cain non è un politico qualsiasi.
 
E non solo qualcuno aveva avvertito Parigi; Netanyahu lo scorso gennaio in un intervista alla tv francese aveva avvertito “se non si smette di criticare Israele e non si è solidali, allora questa peste di terrorismo verrà da voi".
 
Intanto la Francia ha cominciato a bombardare la Siria ma i lati oscuri di questa strage salteranno fuori come nel caso di tutti gli atti terroristici, non ultimo quello contro Charlie Hebdo.
 
Solo un giorno prima della strage di Parigi anche a Beirut sono morte 43 persone in un doppio attentato suicida dell’Isis mentre nel solo mese di ottobre, 714 iracheni sono morti in atti terroristici. In questi casi, troviamo però scarsa considerazione per queste vittime, per la loro morte e per la loro esistenza in mezzo alla morte, causata dalle guerre occidentali. Tutto ciò passa inosservato rispetto ai tragici eventi che hanno colpito Parigi venerdì scorso.
 
Questo nei paesi islamici, assieme alle guerre, è all’ordine del giorno, visto che le vittime sono soprattutto musulmane poiché in queste immense tragedie, la nazionalità, la cultura, la pelle, l’appartenenza geografica o religiosa contano zero. Queste sono tragedie umane che meriterebbero la stessa globale indignazione e la stessa ferma negazione di quanto azzera la vita umana in nome di una follia terroristica. Davanti a due casi contemporanei di terrorismo, per giunta della stessa matrice, le reazioni non sono comparabili sono estremamente opposte.
 
Bisogna fermare la mano di chi li finanzia e non cedere alla tentazione di dare la colpa alla religione o alla razza, di distogliere lo sguardo da aree di indagine più sostanziali.
 
Gli Usa e l’Europa ancora una volta fanno da paladine della giustizia, quando sappiamo benissimo che i Paesi occidentali hanno le loro responsabilità nei disastri politici e sociali di molte nazioni. L’importante è non dare tanta importanza alle guerre contro l’Iraq e più tardi in Libia e in Siria, guerre che hanno distrutto degli stati trasformandoli, come l’Afghanistan, in luoghi ideali per i jihadisti.
 
I bombardamenti della Nato hanno fatto aumentare il numero delle vittime di dieci volte, hanno distrutto la Libia. Il risultato è di aver fatto della Libia un campo di battaglia in cui sono morte più di 150 mila persone e dove hanno trovato terreno fertile gruppi tribali e fanatici di ogni sorta. Hanno gettare nel caos una nazione come la Libia che vantava uno dei livelli più alti di benessere dell'intera Africa.
 
Alla luce di tutto questo la Francia non tarda a bombardare la Siria. Ma probabilmente i guerriglieri dell’Isis avranno avuto tutto il tempo per scappare e i morti saranno civili. Ma anche la Francia, così come l’America di Obama, è ancora una volta in una situazione palesemente illegale in evidente violazione del diritto internazionale. Una strage, quella di Parigi, che sconvolgendo le coscienze ha giustificato e legittimato un intervento armato contro uno Stato sovrano facendosi beffe di tutti i codici e trattati internazionali.
 

                                                                                                       

sabato 28 novembre 2015

L' ULTIMO CONCERTO DELL' OCCIDENTE



Blog politicamente scorretto contro la dittatura del pensiero unico, coordinato dall' avvocato Edoardo Longo.

L' ULTIMO CONCERTO DELL' OCCIDENTE




Observer.

La strage di Parigi ha portato nelle nostre città il “terrorismo diffuso”: non si colpisce più una stazione, un aereo , un luogo particolarmente simbolico, un nemico ideologico o religioso. I terroristi vanno per strada, armi alla mano, sparano ai ristoranti, entrano in un teatro e sparano al pubblico. La polizia è apparsa impreparata, intervenendo solo dopo decine di minuti: magari pensavano che si trattasse di una crisi di ostaggi, non di una massacro. La morte va per strada e bussa alle vite delle persone normali …

Questa minaccia si nutre della tranquillità a cui ci eravamo abituati e della tolleranza, oltre il limite della debolezza. Abbiamo paura di affermare i nostri valori umani, personali  e religiosi , quegli stessi che han reso grande l’Europa nel passato. Basta ricordare il vergognoso caso della scolaresca a cui è stato impedita la visita alla mostra di arte religiosa, che sarà religiosa ma è prima di tutto un’arte: come se potesse essere scandaloso imparare, vedere il bello, che poi può esserci in una opera pittorica o scultorea.

La strage francese insegna che, quando non si ha più il coraggio di affermare la propria identità gli altri si sentono autorizzati ad annientarti: del resto se non sei nessuno, hai paura delle tue radici e dei tuoi valori, sei un nulla a cui chiunque violento può togliere la vita.

Coloro che vogliono ridurci al nulla, vogliono mettere a tacere il nostro essere, che vogliono l’accoglienza “senza se e senza ma” per poter cancellare ciò che la storia ha reso l’Europa, sono taciti correi di chi porta le armi.

Ciò premesso , come è possibile rispondere ad una minaccia che può avverarsi per strada o in qualsiasi luogo urbano, in qualsiasi momento? Pensare che servizi segreti o forze dell’ordine possano essere presenti in ogni luogo in qualsiasi momento è stupidamente utopistico: per dare un’idea un servizio continuo di guardia ad una singola posizione richiede il servizio di 25 poliziotti. Questo tipo di servizio non può essere garantito a nessuna città del mondo.

Una soluzione già utilizzata in passato è quella di armare i cittadini, o almeno una parte selezionata degli stessi. Se anche solo il 3% del pubblico presente al teatro Bataclan avesse avuto uno strumento per autodifesa, la carneficina sarebbe stata molto più limitata, e non prolungata per decine di minuti, come in una mattanza di animali  in stile halal o kosher.



Appare una pretesa utopistica e pericolosa?

Non è vero, si tratta di una esperienza già diffusa senza tragedie nell’ Occidente.

Nel XIX secolo erano diffuse, in tutta Europa, le “Società di tiro”, sovvenzionate dai singoli stati nazionali, dove era possibile esercitarsi all’uso delle armi, soprattutto in vista di eventi bellici. Non sarebbe quindi possibile selezionare un 3-5% della popolazione che, su base volontaria e selezionata,  si addestrasse all’uso delle armi e fosse autorizzata a detenerla in pubblico ?

Preferite forse essere in balia di qualsiasi Jihadista tornato con un prurito alle mani dalla Siria ? O pensate che realmente lo stato possa assumere sufficienti forze dell’ordine ?

Non fatevi fuorviare dai buonisti di casa nostra, da quelli che vi dicono Tanto a noi non capiterà”. quelli del “Non disturbiamoli, così non ci faranno niente ” (come se i poveretti che passavano un venerdì al ristorante fossero tutti degli estremisti antislamici..), del “Tolleriamo, noi siamo tolleranti, noi accettiamo tutti”. Non credete alle loro vane parole. Le strade dell’ inferno sono lastricate di buone intenzioni…

I buonisti e la loro ideologia immigrazionista e multiculturale l’ inferno lo hanno già preparato, per i nostri figli : a furia di imbarcare sulla nave Europa milioni di persone  provenienti dalle plaghe in cui noi veniamo odiati da mane a sera ( con o senza urla di muezzin..) abbiamo creato, anche in Italia, una società parallela che ci odia e vuole soppiantarci : c’è L’ Italia normale, quella degli Italiani, e c’è una Italia parallela alla prima, che facciamo finta di non vedere, ma che oggi è già composta da quasi DUE MILIONI di persone : è l’ Italia degli immigrati ( regolari o no) , dove non esistono leggi, non esistono doveri, dove la polizia non si addentra, dove vige la illegalità sistematica dei “ clan etnici” o religiosi. Dove anche chi non è islamico o arabo o pakistano , si nutre di odio verso l’ occidente e la sua identità e ne agogna la distruzione,  dove questi sentimenti si potenziano vicendevolmente e crescono a livello esponenziale, man mano che la crisi occidentale aumenta e man mano che cresce il delirio “ multiculturale”.

E’ l’ Italia dei quartieri e delle periferie degradate, dove avvengono crimini tribali, omicidi, stupri, violenze di ogni genere,  dove vige la poligamia islamica e pagana, dove scorrazzano i Rom, dove regna ogni traffico - di droga e di uomini -  e dove si effonde ogni miseria umana e morale. E’ l’ Italia dell’ “ arricchimento culturale “ perseguito con volontà criminale dalla sinistra.

Abbiamo evocato il mostro a casa nostra.

I terroristi saranno pochi ,ma si muovono in questo humus con grande facilità: e’ il loro ambiente naturale, il loro naturale brodo di coltura : un mondo immenso e  degradato, transnazionale e incontrollato,  ai margini del mondo normale, una immensa periferia orribile, a metà via fra la casbah e la bidonville, dove l’ unico collante sociale è l’ odio verso il bianco, verso l’ occidente, verso il ricco… che  magari ricco non è , ma vive poveramente, come otto milioni di italiani, ma agli occhi su questo immenso suk sub-umano ha il torto di essere bianco e, in quanto tale,  ricco.. e che quindi si può rapinare, uccidere, derubare, imbrogliare, assassinare…..

E’ tutta questa enorme periferia, questo enorme mondo parallelo, incontrollato , sudicio ed oscuro , che si leva ad uccidere.

 Diceva Lenin  : “ il rivoluzionario deve muoversi come un pesce nell’ acqua”. Anche il terrorista ( in fondo è lo stesso) : noi abbiamo importato un oceano per far sguazzare comodamente  i terroristi a casa nostra.

Ora è impossibile sconfiggerli, perché l’ humus dell’ immigrazione è enorme ed è fatalmente il mondo sommerso che dà loro supporto, agibilità, mezzi, solidarietà diffusa e silente, protezione  e movimento. Un mondo che non potrà mai essere integrato, perché è impossibile per una serie infinita di ragioni che ogni persona assennata intuisce. Il delirio della multiculturalità non poteva che fallire.




Questo è il risultato della suicida cultura dell’ accoglienza, la sindrome patologica dietro cui si nasconde in realtà il cupio dissolvi, la volontà di suicidio e di autoannientamento di un Occidente che non crede più a nulla ed è ebbro di fatue ricchezze e di cultura della morte. La stessa cultura della morte che veniva inneggiata ed evocata nel concerto di Parigi dove si esibiva un gruppo musicale di rock satanico o death metal….

Non è in nome di questa sub-cultura del tramonto di un occidente ateo e pervertito che si potrà fermare il terrorismo, né tanto meno in nome del suo perfetto contraltare, cioè la snervata cultura debole dell’ accoglienza degli assassini….funziona solo nei film di Hollywood, non nella realtà. Il lieto fine non c’è. E si paga molto di più del biglietto di ingresso…

Nell’ immediato, comunque, di fronte alla insorgenza dell’ assassinio di massa e all’ impotenza di uno Stato che predica l’ accoglienza degli assassini,  se si vuole  difendere le proprie  vite  ed anche i propri  beni ( è pura ipocrisia anche il pauperismo : lasciarsi rapinare non è un valore ) , ormai  non c'è  che una via, quella delle armi, in modo diretto o indiretto. Piaccia o no.

Observer

                                                                                                                                                  

mercoledì 25 novembre 2015

JOSE' ANTONIO PRIMO DE RIVERA






Josè Antonio Primo de Rivera


Josè Antonio Primo de Rivera, marchese di Estella e Grande di Spagna, nacque a Madrid il 21 aprile 1906, primogenito del generale Miguel Primo de Rivera,marchese di Estella, che aveva esercitato la dittatura in Spagna dal 1923 al 1930, anno in cui morì in esilio a Parigi il 28 gennaio. Avvocato dal 1925, Primo si dedicò alla politica alla morte del padre, di cui voleva onorare la memoria e continuare l’azione. Fino ad allora Primo era stato un giovane intellettuale di tendenze conservatrici o reazionarie, molto a suo agio tra i suoi libri invece che in mezzo alle folle agitate. Non aveva rinunciato allo stile dei giovani del suo ambiente, i Senoritos che trascorrevano il loro tempo in impegni mondani e in cui egli si riconosceva, investendoli di compiti eroici. In un pubblico discorso affermò che erano i senoritos, che portavano uno spirito di lotta per un fine che non interessa loro in quanto senoritos ( soldato politico); lottavano perché a molti della loro classe sociale fossero imposti sacrifici duri e giusti, e perché uno Stato totalitario provveda tanto ai potenti quanto agli umili. Furono fondati altri gruppi fascisti e nazionalsocialisti e nel clima di fermento politico che comparvero giornali, libri, periodici, manifesti, che insistevano perché ai mali della Spagna si desse una soluzione fascista. Un gruppo di giovani scalmanati si raccolse attorno a Josè Antonio, che divenne leader dei giovani fascisti. Alto, bello, trentenne, animato da smania di piacere, anche i suoi nemici marxisti riconoscevano il suo fascino. I suoi discorsi ed i suoi scritti danno l’impressione di uno studente brillante che ha letto, ma non sempre digerito, un’enorme mole di manuali di teoria politica. Inizialmente monarchico e cattolico.’’El Fascio’’ospitò un suo articolo nel suo unico numero del 1933: ‘’La Patria è una totalità storica…superiore a ciascuno di noi e a ciascuno dei nostri gruppi. A questa unità devono inchinarsi classi e individui. E la costruzione dello Stato si dovrà fondare su questi due principi’’.Nel 1934 scrisse:’’Il fascismo è un‘inquietudine europea. E’ una maniera nuova di concepire tutto - la storia , lo Stato, l’accesso del proletariato alla vita pubblica; una maniera nuova di concepire i fenomeni della nostra epoca e di interpretarli. Il fascismo ha già trionfato in vari paesi, e in alcuni, come in Germania, con i mezzi democratici più irreprensibili’’. Josè Antonio si batteva contro coloro che criticavano suo padre, cercando di riabilitarlo. Era un giovane che si sforzava sinceramente di trovare una via nazionale per porre fine alle incoerenze del liberalismo. La sua poesia preferita era ‘’If ‘’di Kipling usava leggerne dei passi ai suoi seguaci prima delle sfilate domenicali o prima degli scontri per le strade. Nel 1933 fondò la Falange prendendo il nome della formazione dell’esercito macedone che nel IVsecolo a. C. aveva distrutto la democrazia in Grecia. I caratteri originali della personalità politica di Josè Antonio erano il senso di appartenenza a un’elite sociale, la convinzione del dovere di sacrificarsi per la grandezza della patria e il benessere del popolo. I senoritos erano diversi da lui e pochi lo seguirono. Josè Antonio provava forte avversione per l’ambiente monarchico – militare nel quale essi erano formati: un ambiente cui Josè Antonio imputava il tradimento di suo padre Miguel, licenziato da re Alfonso XIII, spinto all’esilio volontario, morto nell’amarezza dell’abbandono. La figura paterna, il desiderio di riscattar la e rivalutarne l’opera influirono assai sulla scelta di Josè Antonio di entrare in politica e sulla sua adesione al modello fascista. Il vecchio generale era ammiratore di Mussolini, al cui regime si era ispirato ricalcandone maldestramente istituzioni – milizia e partito – e sistema corporativo. Josè Antonio condivise del fascismo la spinta ipernazionalista e il superamento della lotta di classe, comprese la necessità di ripercorrerne la strada attraverso la creazione di un partito che nascesse contro il potere politico esistente, anziché esserne il prodotto: come era stato il caso dell’esangue e burocratica Unìon Patriotica, creata da suo padre. Fallì l’obiettivo alle elezioni politiche del 1931, si applicò allo studio dei movimenti fascisti ( collaborò al foglio di Manuel Delgado, ’’El Fascio’’), che giudicò inadatti al suo paese. Si interessò ai gruppuscoli sorti in Spagna a partire dal 1930. L’avvento al potere di Hitler in Germania, incoraggiò in Spagna una definizione fascista di personalità e gruppi che già si muovevano nell’estrema destra, verso cui si orientò Josè Antonio, fondando con alcuni di essi, il 29 ottobre 1933, il partito – ‘’movimento’’, come preferivano chiamarlo, perché partito evocava la democrazia -della Falange Espanola, formazione dalla vocazione nazionalrivoluzionaria, che ripudiava la tradizione monarchica e il liberalismo, rivendicando l’instaurazione di uno stato autoritario capace di realizzare la giustizia sociale e di mettere fine agli abusi del capitalismo mediante gli interventi pubblici in economia. Dotato di un superiore livello culturale e di un notevole fascino personale fascino personale, Josè Antonio ( chiamato così, senza cognome, dai suoi fervidi sostenitori) andò presto ad occupare, il 4 ottobre, la carica di Jefe Nacional del partito, ma non ebbe vita facile né al di fuori né all’interno di esso. Eletto deputato nel blocco delle destre che vinse le elezioni politiche del novembre 1933, mantenne nelle Cortes una posizione isolata, denunciando la miopia dei gruppi più conservatori e reazionari che, animati da spirito di rivincita, si dedicarono a demolire l’opera riformatrice realizzata nel biennio precedente da repubblicani e socialisti. Di fronte al sabotaggio della riforma agraria, Josè denunciò il rischio di rivoluzione cui una tale politica di chiusura ai bisogni popolari esponeva il paese. Atteggiamenti ‘’nazionalsocialisti’’gli alienarono i favori delle classi medio-alte, chefecero confluire i loro voti e finanziamenti sul partito cattolico della CEDA ( Confederacion Espanola de Derechas Autònomas) di Josè Maria Gil Robles, o sulla monarchica Renovacìon Espanola di Josè Calvo Sotelo. Le autorità dell’Italia fascista pur guardando con simpatia al movimento di Primo de Rivera, dato che Josè Antonio era stato ricevuto da Mussolini a pochi giorni dalla fondazione della Falange, nutrirono scarsa fiducia nelle sue possibilità di successo e lo sostennero economicamente in una forma limitata e discontinua. Le difficoltà di crescita della Falange provocarono dissensi nel movimento, facendo sì che la stessa leadership di Josè Antonio fosse messa in discussione. La schiacciante superiorità numerica degli altri partiti di destra spingeva la Falange a caratterizzarsi in senso squadristico,’’ a dedicarsi – Josè annunciò nel discorso di fondazione del partito – alla dialettica dei pugni e delle pistole’’ secondo il cammino percorso dal fascismo italiano, cui essa dichiaratamente si ispirava. Josè Antonio era esperto dello scontro fisico e dell’uso della pistola, era meno versato di altri suoi camerati nel praticare la violenza e nel pensarne le strategie: nei diversi episodi di guerriglia urbana – scontri di piazza e attentati terroristici – che nel 1934 l’estrema destra aveva con l’estrema sinistra, la Falange subì più colpi di quanti ne inflisse. Dopo la fallita insurrezione socialista dell’ottobre 1934 e la sterzata a destra del governo della repubblica, Josè Antonio accentuò il carattere sociale del programma della Falange, indicando tra i 27 punti del suo programma – che rese pubblico nel novembre 1934, obiettivi come l’eliminazione del sistema capitalistico ( considerato antitetico a quello corporativo), la nazionalizzazione delle banche, la soppressione dei latifondi, redistribuzione delle terre. Insofferente dell’immobilismo dei conservatorie convinto che essi rappresentassero un ostacolo alle sue posizioni-ambizioni, Josè Antonio prese a progettare diverse iniziative insurrezionali, il cui braccioarmato avrebbe dovuto essere l’esercito: per cui contattò il generale Francisco Franco, che prudentemente ne rimase estraneo. Essendo prevalenti nelle forze armate le istanze conservatrici e reazionarie, le suggestioni socialisteggianti di Josè Antonio incontrarono scarso seguito e le sue mene insurrezionali non giunsero a concretarsi. La sua politica ebbe scarsissima presa nella società spagnola. Nella sua lettera a Franco prima della rivolta delle Asturie, il 24 settembre 1934, era disposto ad appoggiare un colpo di Stato militare per restaurare il ‘’perduto destino storico del paese’’. Franco non rispose e l’episodio fu rivelato nell’ottobre 1938 da ‘’Y’’, la rivista della sezione femminile della Falange. Josè ebbe un eclettismo di idee politiche , visibile nel suo progetto – schema di governo del 1935, in cui erano inclusi elementi non falangisti: il ministro degli esteri Barròn, della giustizia , Serrano Suner, della difesa Franco, delle finanze,Vintales, sottosegretario: Larraz, alla pubblica istruzione,Aunos ,all’economia Carceller; interni, Mola, direttore generale polizia, Vàzquez; lavori pubblici , Lorenzo Pardo; alle corporazioni, Mateo; sottosegretario Garceràn; alle comunicazioniRuiz de Alda; sottosegretario , Moreno ( Josè), Marocco e colonie, generale Goded, alla sanità, Nogueras, anche il colonnello Rada, che aveva addestrato le reclute carliste in Navarra, era strettamente in contatto con la Falange. Combattè la milizia falangista, ed il 7 ottobre 1934 a Madrid lo sciopero generale, circolò per la città conintenzioni bellicose a bordo della medesima auto su cui viaggiavano Josè Antonio, Ledesma Ramos, Ruiz de Alda,( intimo amico di Josè Antonio, perché anche lui era di Estella [Navarra] ) ed aveva suggerito a Josè il nome ‘’Falange’’. Nel 1934-’35 Josè Antonio ebbe rapporti con il colonnello Barba, della Union Militar. Da poche unità di migliaia dalla sua fondazione la Falange giunse a 25.000 aderenti. L’imperativo categorico della Falange era accrescere il disordine in Spagna per giustificare l’avvento di un regime che ristabilisse l’ordine, Josè perse il suo seggio alle Cortes, nel febbraio 1936 scorazzava su automobili armate di mitragliatrici, i senoritos per il caos, incendiando Chiese e attribuendo la colpa agli anarchici, attentando al giurista socialista Jimènez de Asùa, autore della Costituzione della Repubblica. I socialisti parlavano della Falange come ‘’FAI (anarchici) – lange’’. Franco incontrò Josè Antonio a casa di suo cognato Serrano Suner , detto il cugnadissimo, proponendo al colonnello Yague, brillante falangista dalla testa leonina che ora comandava la Legione Straniera, fungesse da anello di collegamento tra la Falange ed i generali. Il governo del primo ministro ammiraglio Manuel Azana manteneva l’ordine il 27 febbraio 1936 chiuse la sede della Falange a Madri. Il 15 marzo 1936 un falangista collocò una bomba a casa di Largo Caballero e Josè fu arrestato per detenzione abusiva di armi, prima però fu avvisato da Azana di lasciare il paese, ma non lo fece per la madre malata,( cosa falsa perché ella era morta anni prima). Si riferiva alla madre Spagna. Eduardo Aunos, suo seguace, gli propose di fuggire all’estero in aereo, ma lui non volle perché Falange non era un partito di cospiratori i cui capi se ne stavano all’estero. ‘’Spagna! Una, grande, libera)’’. Quando fu ucciso un ufficiale che era tenente della Guardia Civilda Asaltos per aver estratto un revolver puntandolo su Azana, durante il suo corteo funebre fino al cimitero est il carro funebre fu accompagnato da falangisti madrileni che gridavano in coro scontrandosi con i socialisti giubilanti che cantavano l’Internazionale, salutando col pugno chiuso ed esplodendo colpi di arma da fuoco contro il corteo. Al Cimitero ci fu una battaglia fra falangisti e gli asaltos socialisti; morirono il cugino germano di Josè, Andrei Saenz marchese de Heredia, ucciso da un tenente degli asaltos, Josè Castello. Molti membri del Movimento giovanile della CEDA, già guidati da Gil Robles, confluirono nell’estremismo della Falange, benché fosse stata messa al bando dopo i disordini per i funerali del tenente della Guardia Civil. Passarono il capo della Gioventù della CEDA , il generale Ramòn Serrano Suner, anello di collegamento tra la Falange ed i generali. Serrano era stato compagnoni studi universitari di Josè Antonio a Madrid, agli inizi degli anni ’20, molto amici anche ideologicamente. La Falange aveva i capi in carcere, metteva in guardia il partito dall’unirsi ai cospiratori militari perchè ‘’Noi non saremo né l’avanguardia né le truppe d’urto né i preziosi alleati di un qualche confuso movimento reazionario’’. Nel luglio 1936 i falangisti divennero 75.000,lavoratori di Siviglia, giovani della borghesia, studenti universitari, si scontravano nelle piazze con i nemici, in battaglie e assassinii per le strade. Josè scrisse al generale Sanjurjo, ex amico di suo padre, che doveva divenire capo di governo provvisorio di restaurazione monarchica, una lettera di apertura ai soldati, esortandoli dal carcere di porre fine agli attacchi cui era stata fatta segno la ‘’sacra persona della Spagna‘’. ‘’All’ultimo momento, ha detto Spengler, è sempre stato un plotone di soldati quello che ha salvato la civiltà’’. Passati i tempi in cui Josè diceva che tutti i soldati erano inutili, pusillanimi, e che il più codardo di tutti era Franco. La Falange non era legata ai cospiratori e Josè condivise i sentimenti che animavano un discorso del socialista Prieto. Il 1° giugno Josè scrisse dal carcere di Alicante una lettera al generale Mola, promettendo appoggio alla cospirazione militare, promettendo 4.000 falangisti in aiuto alla sedizione. Al grido di ‘’Cafe!’’ ovvero ‘’ìCamaradas!, Arriba Falange espanola !’’ verificarono amaramente alle elezioni del febbraio 1936 quando vinse il Frente Popular: la Falange che si era presentata al di fuori di ogni alleanza per non appiattirsi su una collocazione di destra o di sinistra – subì una durissima sconfitta, raccogliendo un numero di voti inferiore a quello dei suoi militanti. Si trattò di un insuccesso messo in conto, poiché la legge spagnola favoriva le coalizioni, ma il risultato era troppo deludente perchè la legge Josè Antonio non ne traesse l’indicazione che il suo nazionalismo sociale trovava in Spagna pochi consensi. Al ritorno al potere della sinistra, egli rispose rabbiosamente, non limitandosi solo ad orientare la Falange verso una guerra aperta con i gruppi armati socialisti e comunisti, ma incoraggiando attentati alla vita di rappresentanti politici del Frente Popular e delle istituzioni statali. Josè Antonio contribuì a creare il clima di illegalismo, disordine ed insicurezza che avrebbe favorito il golpe militare e la successiva guerra civile. Arrestato ed incriminato per diversi reati, si convinse che la salvezza sua propria e del paese erano nelle mani delle forze armate: dal carcere, diffuse una ‘’Lettera ai militari di Spagna’’ in cui proclamava essere ‘’suonata l’ora in cui le vostre armi debbono entrare in gioco per mettere in salvo i valori fondamentali’’ Cercò di proporsi ai generali cospiratori come punto di riferimento politico; infatti, Josè Antonio accettò di metter a loro disposizione – di fatto, senza condizioni – le milizie falangiste. Il fallimento del golpe militare, il fatto che la Spagna restasse divisa in due parti e che egli fosse detenuto ad Alicante, rimasta sotto il controllo dei repubblicani, segnarono la sua sorte. Processato da un tribunale popolare per ’’ribellione militare’’, Josè Antonio fu condannato a morte e giustiziato nel novembre 1936. Divenne, così, un’icona politica nella Spagna nazionalista; il generale Franco che non aveva per lui alcuna simpatia, essendo il tipico militare quadrato, ottuso, conservatore, clerico-‘’fascista’’ e reazionario, e verso Josè Antonio non si era impegnato per ottenerne la salvezza, per opportunismo politico ne fece il protomartire della sua causa: si impadronì della figura di Josè Antonio, del suo frasario, della sua Falange per meglio adattarsi a quel modello fascista che i successi dei suoi propri protettori, Mussolini e Hitler, facevano apparire vincente. Così, strumentalmente al Caudillo ed a uso della sua alleanza nazionale monarchica, a Josè Antonio toccò in morte una grandezza distorta che sia pur non avendo raggiunto in vita si era mostrata pura e coerente ai veri camerati.

 
Antonio Rossiello 

                    

                                                                                                            

lunedì 23 novembre 2015

GENOCIDI FUTURI ...





GENOCIDI FUTURI / IL PIANO DI SPOPOLAMENTO MONDIALE DELLE NAZIONI UNITE


Documentazione raccolta da  : Anonimo Pontino
Di seguito alcune dichiarazioni e documenti riguardanti il piano di spopolamento delle Nazioni Unite.
 Thomas Ferguson, Funzionario del Caso Latino-Americano per l’Ufficio del Dipartimento di Stato per gli Affari sulla Popolazione (OPA) (fondato da Henry Kissinger nel 1975): “C’è un unico tema dietro ogni nostro lavoro – ridurre il livello della popolazione. O essi [i governi] usano i nostri metodi attraverso strategie piacevolmente pulite, o riceveranno lo stesso tipo di disordine che abbiamo in El Salvador, o in Iran o a Beirut”.
David Rockefeller, (Memorie (2002): “Noi controlliamo le istituzioni politiche e economiche americane. Alcuni credono che facciamo parte di una cabala segreta che manovra contro gli interessi degli Stati Uniti, definendo me e la mia famiglia come ‘internazionalisti’ e di cospirare con altri nel mondo per costruire una struttura politica ed economica integrate – un nuovo mondo, se volete. Se questa è l’accusa, mi dichiaro colpevole, e sono orgoglioso di esserlo.”



“Siamo sull’orlo di una trasformazione globale. Tutto ciò di cui abbiamo bisogno è la giusta crisi globale e le nazioni accetteranno il “Nuovo Ordine Mondiale”.



“Siamo grati al Washington Post, al New York Times, al Time magazine, e ad altre grandi pubblicazioni i cui direttori hanno partecipato ai nostri incontri e hanno rispettato le loro promesse di discrezione per quasi quarant’anni. Sarebbe stato impossibile per noi, sviluppare il nostro progetto per il mondo se fossimo stati esposti alle luci della pubblicità nel corso di questi anni. Ma il mondo è adesso più sofisticato e pronto a marciare verso un governo mondiale che non conoscerà mai più la guerra, ma solo la pace e la prosperità per l’intera umanità. La sovranità sovranazionale di una élite intellettuale e di banchieri mondiali è sicuramente preferibile all’autodeterminazione nazionale esercitata nei secoli passati”.



Jacques Cousteau, ambasciatore dello UNESCO (1991): ”Per salvare il pianeta sarebbe necessario uccidere 350.000 persone al giorno.”



“La crescita demografica incontrollata e la povertà non devono essere combattute dall’interno, dall’Europa, dal Nord America, o qualunque nazione o gruppo di nazioni, ma deve essere attaccato dall’esterno – da organismi internazionali supportati in questo lavoro formidabile da organizzazioni competenti e totalmente non governative “.



Mikhail Gorbachev: “Dobbiamo parlare con maggiore chiarezza a proposito di sessualità, contraccezione, aborto, riguardo valori che controllino la popolazione, perché la crisi ecologica, in breve, è la crisi della popolazione. Tagliamo la popolazione del 90% e non saranno rimaste abbastanza persone che causino grandi quantità di danni ecologici.”



Paul Ehrlich Consulente scientifico di George W. Bush: “Ogni persona che ora si aggiunga influisce in modo sproporzionale sull’ambiente e sui sistemi che sostengono la vita del pianeta.”



Dave Foreman, primo co-fondatore di Earth:  “I miei tre maggiori obbiettivi sarebbero ridurre la popolazione umana a circa 100 milioni in tutto il mondo, distruggere le infrastrutture industriale vedere la natura selvaggia, con tutte le sue specie, ritornare sul pianeta.”



Principe Filippo, Duca di Edimburgo: “Se mi dovessi reincarnare mi augurerei di ritornare su una terra come un virus killer per abbassare i livelli della popolazione umana.”



Margaret Sanger fondatrice di Planned Parenthood (fondata dai Rockefeller): “La cosa più misericordiosa che una famiglia possa fare ad uno dei suoi membri infantile, è ucciderlo.”



“Il controllo delle nascite deve infine portare ad una pulizia razziale.” (Woman, Morality, and Birth Control. New York Publishing Company, 1922. Page 12)



Questa è la donna (Margaret Sanger) alla quale Hillary Clinton ha dichiarato pubblicamente di ispirarsi, durante i dibattiti presidenziali del 2008



John Guillebaud, professore di pianificazione famigliare all’ University College London: “L’effetto sul pianeta di avere un bambino di meno, nell’ordine di grandezza è maggiore di tutte le altre cose che possiamo fare, come per esempio spegnere la luce. Un bambino in più equivale a molte luci sul pianeta.”



Eric R. Pianka, professore di Biologia alla University of Texas a Austin: “Questo pianeta potrebbe essere in grado di sostenere forse mezzo miliardo di persone, che potrebbero vivere una vita sostenibile in un relativo comfort. La popolazione umana deve essere ampiamente ridotta ed il più velocemente possibile, per limitare ulteriore danno ambientale.”



Henry Kissinger, 1978: “La politica degli USA nei confronti del Terzo Mondo dovrebbe essere di spopolamento.”



William Benton, assistente segretario di Stato americano presso l’UNESCO 1946: (UNESCO è l’Organizzazione delle Nazioni Unite per Educazione, Scienza e Cultura):

“Fino a quando un bambino respira l’aria avvelenata del nazionalismo, l’educazione delle menti nel mondo può produrre solo risultati precari. Come abbiamo sottolineato, è spesso la famiglia che infetta il bambino con il nazionalismo estremo. Le scuole pertanto utilizzano gli strumenti descritti in precedenza per combattere gli atteggiamenti di famiglia che favoriscono il nazionalismo … noi dobbiamo attualmente riconoscere nel nazionalismo il maggior ostacolo per lo sviluppo della mentalità mondiale. Siamo all’inizio di un lungo processo di abbattimento dei muri della sovranità nazionale. L’ UNESCO deve esserne il pioniere.”



Michael Coffman  valutazione della Biodiversità ONU sulla Sostenibilità della Popolazione Umana; Senato USA 9 Settembre 1994:  L'ONU dice che il diritto alla proprietà non è assoluto e immutabile, ma c'è per la convenienza di qualsiasi cosa voglia fare il governo."



William S. Cohen, Segretario della Difesa, Testimonanza davanti alla Commissione Congressuale (1997): “Forme avanzate di guerra biologica in grado di colpire specifici genotipi possono trasformare la guerra biologica da un regno del terrore a uno strumento politicamente utile.”



È opportuno spendere due parole sul Codex Alimentarius.

Questo è un insieme di  regole su tutto quello che riguarda l’alimentazione, adottate da 181 paesi (il 97% della popolazione mondiale). Codici che vanno dalla produzione degli alimenti, all’etichettatura, regolamentazioni sui livelli di sostanze chimiche permesse (inquinanti, pesticidi, tossine, additivi, ecc.), sul trasporto e la tracciatura, nonché le norme igieniche, ecc. Circa 200 codici per gli alimenti, 40 di igiene e 3200 limiti massimi di residui di pesticidi e farmaci veterinari. Normative fondamentali e nessuno ne sa nulla.

“Regolamentare” spesso è sinonimo di “controllare”. Ogni organismo che “regolamenta” un qualcosa, ovviamente ne ha il controllo totale.



Dopo la Seconda Guerra Mondiale, nel 1945 nasce la FAO con lo scopo ufficiale di gestire e controllare la nutrizione e le norme alimentari internazionali, (il vero intendimento è controllare le popolazione mediante il controllo degli alimenti!).

Nel 1948 viene creata l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) con lo scopo di ufficiale salvaguardare la salute globale e in particolare di stabilire norme alimentari  (il vero intendimento è controllare le popolazione mediante il controllo e gestione della malattia!).

Il Codex è stato creato ufficialmente nel 1963 sotto l’egida della F.A.O. (Food and Agricolture Organization)  e dell’O.M.S. (Organizzazione Mondiale della Sanità).

Il Codex da una parte è un’arma micidiale nelle mani delle lobbies agroalimentari, della chimica e farmaceutica (i cui proprietari sono gli stessi delle corporation delle armi, energia, telecomunicazioni, ecc.), dall’altra sarà lo strumento principe del mercato globale, quindi nelle mani della stessa Élite dominante.

Se per esempio il Codex definisce i “supplementi nutrizionali”, gli “integratori vitaminici” come delle “tossine” invece di semplici alimenti, sarà possibile imporre (per legge) una soglia “minima di dannosità”. E’ proprio quello che è accaduto qualche anno fa, quando il 21 maggio 2004 il Governo italiano ha approvato un decreto legge in attuazione della Direttiva numero 2002/46/CE del “Parlamento Europeo e del Consiglio” teso ad uniformare le discipline degli Stati membri sugli integratori alimentari. Un esempio per tutti è la Vitamina C (acido ascorbico o sodio ascorbato). “L’apporto giornaliero è ammesso fino al 300% del valore di riferimento”. Siccome il valore di riferimento (RDA) è un tristissimo 60 mg al giorno (che serve solo a prevenire lo scorbuto), significa che la Direttiva europea - tanto voluta delle lobbies del farmaco - impone un massimo giornaliero di 180 mg di Vitamina C. Una offesa alla nostra intelligenza, alla memoria del doppio premio Nobel Linus Pauling, il quale ha dimostrato scientificamente l’utilità di grammi giornalieri, e soprattutto un attacco mirato alla nostra salute.

Ecco perché non si trovano più, se non con grande fatica, in erboristeria gli integratori di compresse da 1 grammo di Vitamina C: sono illegali!

Sono stati molto sottili, perché non hanno “imposto per legge” la soppressione delle compresse da 1 grammo , hanno semplicemente abbassato il limite massimo del principio attivo, ed il gioco è fatto.

La medesima cosa avviene nella creazione di nuovi malati: abbassano le soglie (colesterolo, Psa, pressione arteriosa, glucosio, ecc.) et voilà per magia ecco milioni di nuovi consumatori di droghe, cioè di farmaci.

Dietro ovviamente c’è lo zampino del Codex.

Per spiegare invece come tale Codice sarà sempre più uno strumento globalizzante, basta comprendere come funziona il WTO (OMC), l’Organizzazione Mondiale del Commercio.

Il WTO è l’arbitro del commercio internazionale e si rifà proprio al Codex per decidere se un paese può rifiutare oppure no l’importazione di un prodotto alimentare. Se per esempio la carne statunitense - pregna di ormoni della crescita bovina di sintesi (della Monsanto) - viene accettata (e lo è) dal Codex, il paese o l’unione di paesi (Europa) non potrà più rifiutarne l’importazione.

Il Codex - visti gli sponsor - non poteva non essere un grande promotore dei prodotti biotech, cioè degli alimenti geneticamente modificati. Siccome tali cibi pericolosi hanno proprio il sigillo Codex, sarà sempre più difficile per un paese proteggere la salute dei suoi cittadini impedendone l’entrata in commercio. Quindi tutti i prodotti marchiati Codex, che facciano bene alla salute o siano pericolosi, in quanto accettati dall’ente certificatore delle lobbies (appunto il Codex), entreranno nei circuiti di vendita e consumo, e nessun paese potrà rifiutarsi, pena sanzioni.
Questo è il Codex.

sabato 21 novembre 2015

L'USO POLITICO DELLA GIUSTIZIA


Italia - Repubblica - Socializzazione
.
da "Archivio Guerra Politica"   
 
L'uso politico della giustizia
 
Vincenzo Vinciguerra    

 
Fra le tante leggende che la democrazia italiana alimenta quella relativa all’indipendenza della magistratura è una delle più accreditate.
Il terzo potere dello Stato è, in realtà, subalterno a quello esecutivo che di esso dispone a proprio piacimento ora come scudo per difendersi ora come spada per offendere.
Possiamo affermare, senza timori di smentite, che in questo Paese ci siano stati – e ci siano ancora oggi – giudici giusti ma che sia semplicemente inesistente la giustizia, che viene sempre subordinata da quanti sono chiamati ad affermarla agli interassi dello Stato, ovvero a quelli della classe politica dirigente che lo Stato guida e controlla.
E’ normale, pertanto, che una classe politica cinica e spregiudicata abbia sempre utilizzato, quando lo ha ritenuto necessario, la magistratura come un’arma contro gli avversari politici per piegarne la resistenza.
Classico rimane l’esempio del processo per l’oro di Dongo il cui esito poteva avere conseguenze devastanti per il Partito comunista italiano, i cui uomini erano stati i protagonisti dell’arresto di Benito Mussolini e dei componenti del governo della Repubblica sociale italiana a Dongo il 27 aprile 1945, e del sequestro di documenti e di ingenti somme di denaro in loro possesso di gran parte dei quali se ne persero le tracce.
Nei primi mesi del 1947 è all’esame dell’Assemblea costituente l’inserimento nella nuova Costituzione del Concordato fra Stato e Chiesa, firmato da Benito Mussolini l’11 febbraio 1929.
Come vincere la scontata opposizione delle sinistre e, in particolare, del Partito comunista guidato da Palmiro Togliatti?
La domanda se la pose il presidente del Consiglio del tempo, Alcide De Gasperi, e la risposta venne trovata in un’operazione di ricatto politico-giudiziario relativo proprio alla scomparsa di buona parte del cosiddetto “oro di Dongo”.
Non ci sono, manco a dirlo, prove certe ma la sequenza degli avvenimenti lascia pochi dubbi.
L’8 gennaio 1947 il generale Leone Zingales è inviato da Roma a Milano, in missione temporanea presso la locale procura militare, per dirigere l’inchiesta sulla scomparsa del cosiddetto “oro di Dongo”.
Un mese più tardi, fra il 10 e il 15 febbraio, Zingales ordina l’arresto di dirigenti e militanti comunisti sospettati di aver concorso a far sparire documenti e valuta in possesso di Benito Mussolini.
Il 20 febbraio, l’ufficiale parte per Roma dopo aver annunciato ai giornalisti che porta con sé “tutti i documenti relativi al processo per il tesoro dell’oro di Dongo… Non c’è dubbio – aggiunge – che il tesoro di Dongo debba considerarsi preda bellica agli effetti dell’art. 236 del codice penale militare”.
Il 15 marzo, senza alcuna motivazione, il generale Leone Zingales viene destituito dall’incarico e gli atti relativi al processo per l’oro di Dongo sono trasmessi alla Corte di cassazione.
Tre giorni più tardi, il 18 marzo, Alcide De Gasperi informa monsignor Giovanni Battista Montini che i comunisti hanno deciso di votare a favore dell’inserimento nella Costituzione dei Patti del Laterano.
Il 21 marzo, Ruggero Grieco, in un’intervista concessa a “Toscana nuova” afferma che il Partito comunista voterà contro l’inserimento del Concordato nella Costituzione, perché rappresenta “patti sottoscritti dal fascismo e che contengono anche principi contrari alla Costituzione stessa”.
Le affermazioni dell’alto dirigente comunista sono clamorosamente smentite da Palmiro Togliatti che, il 24 marzo, ordina al gruppo parlamentare comunista convocato per l’occasione di votare a favore dell’inserimento dei Patti lateranensi nella Costituzione.
La correlazione fra l’insabbiamento del processo per l’oro di Dongo del 15 marzo 1947, con l’invio degli atti in Cassazione, e la decisione clamorosa di Palmiro Togliatti di votare a favore dell’inserimento del Concordato nella Costituzione nove giorni più tardi, il 24 marzo, non sfugge agli osservatori più attenti i quali non esiteranno a parlare di “Dongo ut des”.
È solo un esempio, questo del processo per l’oro di Dongo, di come sia possibile usare la magistratura per fini politici, anzi perfino per scopi personali, per faide interne alla stessa Democrazia cristiana.
Lo prova il caso della morte di Wilma Montesi, rinvenuta cadavere sulla spiaggia di Torvajanica, a Roma, il 16 aprile 1953.
Sulla morte della ragazza s’imbastisce una speculazione politica che ha come protagonista l’allora ministro degli Interni Amintore Fanfani che si propone la liquidazione politica dell’alto dirigente democristiano Attilio Piccioni.
Il figlio di quest’ultimo, Piero, viene difatti indicato da alcuni testimoni come correo nella morte di Wilma Montesi e partecipante assiduo a certi “festini” svoltosi in ville di Capocotta.
Tanto basta perché Fanfani crei uno scandalo politico-giudiziario che finirà per travolgere Attilio Piccioni, con il concorso di giornalisti, ufficiali dei carabinieri e, soprattutto, del magistrato incaricato di condurre l’inchiesta, Raffaele Sepe.
Sepe lavora molto con i giornalisti e sul suo conto, il 25 settembre 1954, il capo della polizia Giovanni Carcaterra può scrivere:
“Magistrato tronfio, ambiziosissimo, ma di buona cultura giuridica, non è attualmente ben visto dai suoi colleghi quali, prescindendo da ogni considerazione sul suo operato nell’odierna vicenda, lo considerano un esibizionista amante di pubblicità”.
Cancellata la “buona cultura giuridica”, il ritratto si adatta perfettamente a Felice Casson che in Sepe ha un precursore e un esempio, perfino nello scegliersi come punto di riferimento politico all’interno della Democrazia cristiana Giulio Andreotti, del quale il disinvolto magistrato si proporrà come consigliere giuridico.
Nell’estate del 1956, dopo che l’anno precedente la Germania federale è entrata a far parte dell’Alleanza atlantica, il governo decide di bloccare ogni azione penale a carico di ufficiali tedeschi che hanno operato in Italia dopo l’8 settembre 1943.
E’ una scelta politica che suscita malumori negli ambienti militari che non vedono con favore la nomina di un generale tedesco ai vertici della Nato specie quando questi è il fratello dì un ufficiale che ha avuto un ruolo preminente nella fucilazione dei militari italiani della divisione “Acqui” a Cefalonia nel mese di settembre del 1943.
Per tacitare le proteste dei più facinorosi giunge puntuale il tintinnio delle manette.
Il 23 novembre 1956, a conferma che la storia si può scrivere in modo difforme da come viene oggi raccontata, il giudice istruttore militare di Roma, Carlo Del Prato, spicca un mandato di comparizione a carico di Renzo Apollonio ed altri ufficiali della divisione “Acqui” sopravvissuti, ipotizzando a loro carico i reati di rivolta continuata, cospirazione ed insubordinazione con minaccia verso superiore ufficiale, per aver disobbedito agli ordini di “desistere da ogni atto ostile e di predisporre la cessione ai tedeschi delle armi pesanti”, inducendo “la truppa alla rivolta per commettere atti di ostilità contro i tedeschi al fine di creare il ‘fatto compiuto’” e, in questo modo, contrastare militarmente le truppe germaniche.
In altre parole, la responsabilità del massacro di Cefalonia non ricade sui tedeschi ma sugli ufficiali che disobbedendo all’ordine del comandante della divisione “Acqui” di cedere le armi, aprirono il fuoco sui tedeschi provocando la loro rappresaglia.
Militare o civile la “giustizia” costituisce un deterrente in grado di bloccare ogni protesta. E, difatti, Renzo Apollonio e gli altri ufficiali tacquero per sempre.
Ma è negli anni Settanta e seguenti che l’uso politico della giustizia diviene prassi costante e clamorosa nella quale si distingue l’allievo prediletto di Alcide De Gasperi: Giulio Andreotti.
Andreotti, presidente del Consiglio designato dei “golpisti”, promuove a partire dal mese di gennaio del 1973 una seconda inchiesta sul cosiddetto “golpe Borghese”, dal nome dell’ex comandante della Xa Mas, Junio Valerio Borghese, del 7-8 dicembre 1970.
Affida le indagini al generale Gianadelio Maletti, responsabile dell’ufficio “D” del Sid preposto alla difesa della sicurezza interna, che tramite il capitano Antonio Labruna raccoglie le confessioni di Remo Orlandini, braccio destro di Junio Valerio Borghese, e di altri “congiurati” e redige per Giulio Andreotti un rapporto nel quale ricostruisce, con nomi e cognomi, l’ambiente “golpista” e le relative responsabilità.
L’esponente politico-mafioso che Filippo De Jorio bollerà come “Giuda” (e qualcuno subito dopo gli sparerà alle gambe ) gestirà il rapporto del Sid per fini personali e politici, decidendo chi dovrà finire sotto processo e chi no, per affidare infine nell’autunno del 1974 al sostituto procuratore della Repubblica di Roma Claudio Vitalone, uomo di sua assoluta fiducia, l’incarico di procedere e di perseguire penalmente i “golpisti”.
Ne verrà fuori una vicenda giudiziaria grottesca dalla quale usciranno indenni tutti: dal capo golpista Giulio Andreotti che nessuno oserà chiamare in causa esplicitamente all’ultimo dei “congiurati”, tutti assolti, anche i rei confessi, per non aver commesso il fatto.
Giulio Andreotti potrà trasformarsi con la complicità del Partito comunista italiano da “golpista” a “difensore della democrazia”, da guida degli “eversori neri” nel loro più spietato persecutore e proseguirà in una carriera politica sempre più sfolgorante.
Ci prende gusto, Giulio Andreotti, e difatti nell’autunno del 1978, per favorire la formazione guidata da Mario Tedeschi, “Democrazia nazionale”, e togliere voti al Movimento sociale italiano di Giorgio Almirante, ordinerà al direttore del Sismi, generale Giuseppe Santovito di far riaprire l’inchiesta sull’attentato di Peteano di Sagrado del 31 maggio 1972.
La storia dell’attentato di Peteano e dei successivi depistaggi, Giulio Andreotti la conosce bene fin dall’inizio perché era lui il presidente del Consiglio nel giugno del 1972, sa quindi che Carlo Cicuttini era segretario della sezione del Msi-Dn di Manzano del Friuli, che per farlo operare alle corde vocali (lui aveva telefonato attirando i carabinieri nella trappola mortale) Giorgio Almirante gli aveva fatto inviare 35 mila dollari peraltro mai a lui pervenuti, ma solo ora la verità gli serve politicamente per danneggiare il Msi ed il suo segretario.
L’operazione fallirà così come “Democrazia nazionale”, ma con l’incauta decisione di riaprire l’inchiesta sull’attentato del 31 maggio 1972, Giulio Andreotti ed il servizio segreto militare scopriranno che se ad essi si addice il ruolo di burattinai non tutti gli uomini sono disposti a ricoprire il ruolo dei burattini.
Ne riparleremo.
La riapertura dell’inchiesta sull’attentato di Peteano di Sagrado imposta da Giulio Andreotti sarà posta, poi, alla base di una speculazione politica dal quale l’unico a trarne vantaggi personali sarà il giudice istruttore di Venezia Felice Casson.
Procediamo con ordine.
Si è detto e si continua a dire, solo perché affermato dallo stesso Felice Casson, che la scoperta dell’esistenza della struttura Gladio nell’estate del 1990, è scaturita dalle indagini fatte sull’attentato del 31 maggio 1972 da cotanto ex magistrato e, in modo specifico, dalle dichiarazioni che io avrei rese a lui a partire dal 20 giugno 1984.
È falso.
È solo una volgare menzogna sulla quale Felice Casson ha costruito la sua carriera politica.
La scoperta dell’esistenza della struttura segretissima denominata “Gladio” è dovuta all’inchiesta sul sabotaggio dell’aereo “Argo 16″, fatto esplodere sul cielo di Marghera dai servizi segreti israeliani il 22 novembre 1973, condotta dal giudice istruttore di Venezia Carlo Mastelloni.
Lo dicono i fatti e le date.
Il giudice istruttore Carlo Mastelloni, nel corso della sua inchiesta, la sola condotta con serietà nei confronti dei servizi segreti israeliani, scopre che l’aereo esploso in volo a Marghera, l'”Argo 16″, era in dotazione al servizio segreto militare e che era adibito al trasporto di armi e di uomini condotti nella base segreta di Alghero (Sardegna) per esservi addestrati, non solo militari ma anche ex militari e civili.
Non basta, Carlo Mastelloni accerta l’esistenza di depositi di armamento ubicati nella zona Nord-est del Paese che, ufficialmente, non sono di pertinenza delle Forze armate bensì di una struttura la cui esistenza è segreta, anzi ufficialmente negata.
Come si vede gli elementi per affermare che il giudice istruttore Carlo Mastelloni ha scoperto l’esistenza della struttura “Gladio” ci sono tutti:
–    la base segreta di Alghero per l’addestramento di civili ed ex militari;
–    il mezzo di trasporto, l”‘Argo 16”;
–    i depositi clandestini di armi, munizioni ed esplosivi, i cosiddetti “Nasco”;
–    qualcuno dei responsabili come il generale Gerardo Serravalle che Carlo Mastelloni interrogherà il 20 aprile 1989.
Per giungere alla conclusione dell’indagine manca solo il riconoscimento ufficiale da parte del governo che, viceversa, opporrà il segreto di Stato.
È doveroso porre in rilievo come non ci siano connessioni di sorta con le indagini sull’attentato di Peteano di Sagrado, con la mia persona, con le mie dichiarazioni sull’esistenza di “strutture parallele” dello Stato coinvolte nella guerra politica.
L’inchiesta e le indagini del giudice istruttore Carlo Mastelloni non fanno riferimento, nemmeno indirettamente, ad episodi diversi da quello dell’abbattimento dell'”Argo 16” sul cielo di Marghera il 23 novembre 1973, non richiamano verbali e testimonianze di altre inchieste.
L’indagine del giudice istruttore Carlo Mastelloni si svolge in un ambiente esclusivamente militare e tende ad accertare le responsabilità dei servizi segreti israeliani nell’omicidio di quattro militari italiani (l’equipaggio dell”‘Argo 16″) e quelle di quanti in Italia si erano prodigati per cancellare le tracce di una strage che porta impresso il marchio della Stella di David.
E’ una verità, questa ora affermata, che non si può smentire.
Il 18 ottobre 1988, il giudice istruttore di Venezia Carlo Mastelloni chiede al Sismi informazioni relative a “plurimi depositi di armamento siti in Veneto e nella zona nordorientale del Paese… destinati a civili o ex militari addestrati… nel Centro occulto sito in Alghero, Sardegna”.
C’è, in questa richiesta, tutto quello che serve per dire che il segreto su “Gladio” non esiste più, che è stato scoperto tutto quello che c’era da scoprire.
Ma il 20 ottobre 1988, l’ammiraglio Fulvio Martini, direttore del Sismi, oppone al giudice Carlo Mastelloni il segreto di Stato:
“Comunico che tutti i dati richiesti sono coperti dal segreto di Stato. Il Presidente del Consiglio dei ministri, informato per le vie brevi, ha autorizzato quanto sopra”.
Il giudice istruttore Carlo Mastelloni non demorde e il 4 novembre 1988 si rivolge direttamente al presidente del Consiglio, Ciriaco De Mita, per chiedere la rimozione del segreto di Stato.
Richiesta legittima, ai sensi della legge 801 di riforma dei servizi segreti, perché Carlo Mastelloni sta indagando su una strage, reato per il quale non sarebbe opponibile il segreto di Stato.
Il 28 dicembre 1988, viceversa, il presidente del Consiglio Ciriaco De Mita conferma l’apposizione del segreto di Stato bloccando in questo modo l’inchiesta di Carlo Mastelloni.
La storia potrebbe finire qui, con l’amara conclusione di una verità scoperta dal giudice istruttore Carlo Mastelloni e negata da un presidente del Consiglio democristiano.
Il destino, però, ha disposto altrimenti.
Il 22 luglio 1989, torna a ricoprire la carica di presidente del Consiglio il rappresentante di “Totò o’curtu”, Giulio Andreotti.
Nel mese di ottobre del 1989, la casa editrice Arnaud di Firenze pubblica il mio libro, “Ergastolo per la libertà. Verso la verità sulla strategia della tensione”, all’interno del quale oltre a giudizi sprezzanti nei confronti di Felice Casson, c’è un passo dedicato alle “strutture parallele”:
In Italia – scrivevo – esiste “un’organizzazione segreta, composta di militari e di civili, alla quale sono affidati compiti politici e militari, in possesso di una rete di comunicazione propria, di armi, esplosivi ed uomini addestrati ad usarli. Una super organizzazione, questa, che da anni, dall’immediato dopoguerra, ha creato una struttura di comando parallela a quella ufficiale esistente ed ha arruolato ed addestrato all’uso delle armi ed al sabotaggio migliaia di uomini in tutto il Paese. Una super organizzazione che, in mancanza dell’invasione sovietica che non c’è stata, né ci poteva essere, si è assunta per conto della Nato il compito di evitare slittamenti a sinistra degli equilibri politici del Paese. Come lo ha fatto, con l’assistenza dei servizi segreti ufficiali, delle forze politiche e militari, lo sappiamo tutti anche se la paura impedisce a troppi di dire qualche parola che aiuti a far luce su questa realtà ancora presente nel nostro Paese”.
Il libro stampato nel mese di ottobre, compare nelle librerie nel mese di novembre.
Il 9 di quella stesso mese di novembre del 1989, cade il muro di Berlino e vengono aperte per la prima volta le frontiere fra la Germania federale e quella orientale.
È la fine del comunismo internazionale ed interno.
Fino a quel momento le mie dichiarazioni sulle “strutture parallele” hanno suscitato interesse solo in alcuni magistrati che, però, non hanno mai approfondito il tema né svolto indagini.
Il solo magistrato che ha negato alla radice ogni credibilità alle mie affermazioni è stato proprio lui: Felice Casson.
Il 15 aprile 1987, ascoltato in seduta segreta dalla Commissione d’inchiesta monocamerale presieduta dal democristiano Gerardo Bianco, Felice Casson si era esibito in un violento attacco personale alla mia persona, concluso con le fatidiche parole:
“Non credo ad una sola parola di quello che dice meno che alla sua personale responsabilità nella strage di Peteano”.
A dire il vero, il Casson nell’ordinanza istruttoria del 4 agosto 1986 si era impegnato a distruggere la credibilità dell'”imputato principale” e del testimone, mentre in quella del 3 gennaio 1989 non c’è riferimento alcuno alle mie dichiarazioni, tantomeno a quelle sulle “strutture parallele”.
Giunge, però, l’ora degli sciacalli.
Giulio Andreotti, oltre che degli affari della mafia, si occupa anche di quelli politici interni ed internazionali.
Il crollo del comunismo internazionale, la conversione fulminea alla socialdemocrazia dei comunisti italiani guidati da Achille Occhetto, la conoscenza pregressa dei fatti relativi ai depistaggi seguiti all’attentato di Peteano come presidente del Consiglio del tempo, l’ambizione di concludere la sua nefasta carriera come presidente della Repubblica obbligando Francesco Cossiga a dimettersi anzitempo (lo affermerà lo stesso Cossiga, senza essere smentito) con i voti del Pci, suggeriscono a Giulio Andreotti l’avvio di un’operazione che preveda ancora una volta l’uso politico della giustizia.
Per fare un’operazione “sporca” servono gli uomini adatti, e a compare Giulio Andreotti non manca la capacità di individuarli.
Il fine dell’operazione è quello di giungere ad elezioni anticipate per la presidenza della Repubblica proponendo sé stesso come candidato sostenibile anche dai parlamentari comunisti, ed il mezzo è rappresentato da uno scandalo che possa travolgere Francesco Cossiga che di “Gladio” è stato uno dei responsabili politici.
Lo scandalo si crea collegando la struttura “Gladio” ad un attentato di indubbia gravità come quello di Peteano di Sagrado che, il 31 maggio 1972, aveva provocato la morte di tre carabinieri.
Le mie dichiarazioni, fino a quel momento trascurate, neglette, non considerate anzi addirittura bollate come inattendibili da Felice Casson divengono ora preziose per stabilire un collegamento fra la struttura e l’attentato, fra Gladio ed il sottoscritto.
Come abbiamo visto nelle pagine precedenti, della struttura segreta il giudice istruttore Carlo Mastelloni ha scoperto tutto quello che c’era da scoprire, addirittura nel 1988, ma è stato fermato dal segreto di Stato.
Giulio Andreotti, in quel mese di dicembre del 1989, avrebbe dovuto semplicemente rimuovere il segreto di Stato, ammettere l’esistenza della struttura “Gladio” e consentire al giudice istruttore Carlo Mastelloni di proseguire e concludere la sua inchiesta che, però, verte su una strage commessa dai servizi segreti israeliani, quindi non serve.
Inoltre, Carlo Mastelloni è una persona onesta come uomo e come giudice, qualità che lo rendono inviso a Giulio Andreotti e, soprattutto, inutile per il conseguimento degli obiettivi che si è prefisso il presidente del Consiglio.
Per i propri scopi, Andreotti necessita di un uomo ”tronfio e ambiziosissimo”, assolutamente privo di scrupoli e di senso morale: Felice Casson.
Il 6 dicembre 1990, a poche settimane di distanza dalla pubblicazione di “Ergastolo per la libertà”, si presenta da Felice Casson il generale Pasquale Notarnicola, ex responsabile della Ia divisione del Sismi.
L’ufficiale parla con Casson dei depositi di armi ed esplosivi, stabilisce un collegamento arbitrario fra lo spostamento dei “Nasco” iniziato nella primavera del 1972 e l’attentato di Peteano, riferisce che l’ammiraglio Fulvio Martini conosceva in quegli anni i nomi degli autori dell’attentato.
E’ attendibile il generale Pasquale Notarnicola?
Forse no, se non altro perché il 28 giugno 1989 era stato rinviato a giudizio insieme al generale Ninetto Lugaresi ed altri proprio dal giudice istruttore Carlo Mastelloni per aver favorito la fornitura di armi da parte dell’Olp alle Brigate rosse.
In ogni caso, Notarnicola viola il segreto di Stato imposto dal presidente del Consiglio Ciriaco De Mita quasi un anno prima, distoglie l’attenzione dall’inchiesta sul sabotaggio dell’aereo “Argo 16″ condotta dal giudice istruttore Carlo Mastelloni e traccia la pista che è politicamente più opportuna per Giulio Andreotti coinvolgendo la struttura “Gladio” nell’attentato di Peteano di Sagrado del 31 maggio 1972.
Felice Casson intuisce che quella che gli viene offerta è un’opportunità unica, quella che gli consentirà di creare il piedistallo sul quale basare la sua futura carriera politica, e s’impegna nella nuova indagine.
Solo che Casson fino a quel 6 dicembre 1989 non ha mai preso in considerazione le mie dichiarazioni sulle “strutture parallele”, non ha mai svolto alcuna indagine ed ora deve iniziare da zero.
Il ragionamento di Felice Casson è da sempliciotti: se conosco l’esistenza della struttura segretissima, la sua organizzazione, le sue finalità è perché ne ho fatto parte, ne sono stato almeno contiguo e l’attentato di Peteano di Sagrado rientra fra quelli organizzati dai “servizi deviati” nell’ambito della strategia della tensione.
Il pensiero che io possa aver riunito frammenti di informazione nel corso di anni di attività politica nell’estrema destra per giungere alla certezza dell’esistenza di questa organizzazione non lo sfiora, ma per evitare smentite Felice Casson non chiederà mai di interrogarmi sul punto.
Dal nulla che ha, Casson può iniziare la sua indagine dall’atto istruttorio più ovvio: interroga, il 15 gennaio 1990, l’ammiraglio Fulvio Martini, direttore del Sismi, che ovviamente nega tutto.
Felice Casson non sa niente e la prova della sua ignoranza viene dalla richiesta che, il 19 gennaio 1990, fa direttamente al presidente del Consiglio Giulio Andreotti al quale chiede documentazione utile per accertare “se nel periodo 1972-73-74 siano stati effettuati nel Friuli Venezia Giulia trasferimenti di depositi (segreti) di armi, munizioni ed esplosivi a disposizione dei Servizi di sicurezza”.
Si metta a confronto la genericità della richiesta con quella dettagliata presentata dal giudice istruttore Carlo Mastelloni al presidente del Consiglio Ciriaco De Mita, il 4 novembre 1988, e si ha la dimostrazione che Felice Casson non ha la più pallida idea della struttura sulla quale dovrebbe indagare.
Alla richiesta di Felice Casson del 19 gennaio 1990, il presidente del Consiglio Giulio Andreotti dovrebbe dovuto rispondere nella maniera più coerente, confermando cioè il segreto di Stato opposto a Carlo Mastelloni dal suo predecessore Ciriaco De Mita.
Andreotti, viceversa, tace.
La ragione del comportamento del presidente del Consiglio è evidente: consentire a Felice Casson di proseguire nelle sue indagini e guadagnare tempo in attesa del momento opportuno per svelare l’esistenza di “Gladio”.
Ma i mesi passano e Felice Casson, al solito, non scopre un bel niente, neanche un indizio irrisorio che consenta a Giulio Andreotti di procedere alla revoca del segreto di Stato.
Il giudice istruttore Carlo Mastelloni, viceversa, chiede ancora una volta la revoca del segreto di Stato che viene negata, il 18 aprile 1990, dal capo di Stato maggiore del Sismi generale Paolo Inzerilli.
Il 5 maggio 1990, Giulio Andreotti riceve dal direttore del Sismi, ammiraglio Fulvio Martini, un “appunto” sulla storia delle Stay-behind e dei loro compiti, redatto su richiesta dello stesso presidente del Consiglio, che si rende conto che ormai è prossimo il tempo di agire per favorire Felice Casson.
Il 17 maggio 1990, Giulio Andreotti decide di violare il segreto di Stato informando Felice Casson che “nell’aprile del 1972 fu deciso e iniziato il recupero di armi, munizioni e esplosivi dislocati a suo tempo in zone di possibile occupazione nemica”.
La singolarità del comportamento di Andreotti è data dal fatto che nella comunicazione inviata a Felice Casson gli ricorda che il giudice istruttore Carlo Mastelloni aveva presentato a suo tempo analoga richiesta alla quale era stato opposto il segreto di Stato.
La malafede di Giulio Andreotti è evidente. Sceglie di violare il segreto di stato per consentire a Felice Casson di andare avanti, ovvero di rivolgersi ancora a lui come vedremo, ma non lo revoca perché in tal caso Carlo Mastelloni avrebbe potuto riprendere le indagini e rivendicare la titolarità dell’inchiesta con la trasmissione al proprio ufficio anche degli atti istruttori compiuti da Felice Casson.
Quello fra Giulio Andreotti e Felice Casson è un gioco di squadra finalizzato al raggiungimento di un obiettivo politico, non giudiziario.
Casson esulta perché ora ha prova certa che compare Andreotti conta su di lui e lui può contare sul compare.
Difatti, proseguendo in questo anomalo rapporto fra un giudice istruttore ed un presidente del Consiglio, Felice Casson chiede ad Andreotti, il 21 maggio 1990, maggiori delucidazioni in particolare sul conto dell’ammiraglio Fulvio Martini e sulla sua partecipazione al ritiro dei depositi di armi, munizioni ed esplosivi in Friuli.
In pratica, Casson indaga sul conto del direttore del Sismi, Fulvio Martini, in collaborazione con il presidente del Consiglio Giulio Andreotti che, il 2 luglio 1990, gli farà pervenire la risposta contenente dettagli sulla carriera militare dell’alto ufficiale.
Il rapporto fra Giulio Andreotti e Felice Casson è ormai consolidato e così, senza aver mai scoperto nulla, il magistrato, il 7 giugno 1990, chiede al primo un incontro che avviene il 20 luglio 1990.
Sul contenuto del colloquio con Giulio Andreotti, il ciarliero Felice Casson non ha mai detto nulla, anche se qualcosa si evince dalla lettera che lo stesso 20 luglio il presidente del Consiglio invia al presidente del Cesis per comunicargli la sua decisione di autorizzare Felice Casson a recarsi presso la sede del Sismi per prendere visione e prelevare documenti relativi all’indagine che sta compiendo.
Quale sia l’indagine non è dato da sapere.
In questo modo, senza aver mai scoperto nulla ma forte dell’ipotesi suggeritagli il 6 dicembre 1989 dal generale Pasquale Notarnicola sul collegamento fra l’attentato di Peteano di Sagrado e la struttura “Gladio”, Felice Casson si reca a Forte Braschi, sede del Sismi, e “scorre” quanto aveva già scoperto due anni prima, nel 1988, il giudice istruttore Carlo Mastelloni.
L’operazione politica ora può svilupparsi pienamente con l’attacco a Francesco Cossiga, al quale partecipa entusiasticamente Felice Casson come preventivato da Giulio Andreotti.
Il 3 agosto 1990, Giulio Andreotti scopre le carte del gioco che ha diretto utilizzando Felice Casson. Si reca, difatti, nella sede della Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo e le stragi e s’impegna a trasmettere una relazione predisposta dallo Stato maggiore sulla Stay-behind, proseguendo:
“Sulla base di quanto mi è stato riferito dai servizi, tali attività sono proseguite fino al 1972, dopodiché sì è ritenuto che non ve ne fosse più bisogno. Sia sul problema in generale, sia sullo specifico accertamento fatto in occasione dell’inchiesta sulla strage di Peteano da parte del giudice Casson, fornirò alla Commissione tutta la documentazione necessaria”.
La malafede di Andreotti è evidente, difatti la relazione predisposta dallo Stato maggiore avrebbe dovuta essere consegnata al Comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti e non certo alla Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo e le stragi, e lo “specifico accertamento” fatto da Felice Casson sull’attentato di Peteano non ha dato risultato.
La conferma viene dallo stesso Felice Casson che, interpellato il 27 ottobre 1990 dal sostituto procuratore della Repubblica di Roma Franco Ionta per sapere se nell’inchiesta sull’attentato di Peteano ci siano elementi riferibili a “Gladio”, risponde che non ce ne sono e si dichiara disposto a dichiarare la propria incompetenza ad indagare sulla struttura.
Insomma, un bluff.
Come già nel 1973-74 aveva utilizzato il generale Gianadelio Maletti e il fidato Claudio Vitalone per imbastire il processo per il “golpe Borghese” e trasformarsi da imputato in accusatore, così nel 1989-90 Giulio Andreotti usa il generale Pasquale Notarnicola e l’affidabilissimo Felice Casson per mettere alle corde Francesco Cossiga e proporsi come presidente della Repubblica con l’appoggio del Partito comunista italiano, al quale offre lo smantellamento di una delle strutture segrete utilizzate nel corso della guerra fredda, ipotizzandone il diretto coinvolgimento in un attentato nel quale avevano perso la vita tre carabinieri.
Come Giulio Andreotti, anche Francesco Cossiga conosce bene la verità sull’attentato del 31 maggio 1972, quindi reagisce rabbiosamente alla manovra che vede il suo collega di partito come mandante e Felice Casson come esecutore, ma non si dimette.
L’operazione si rivela fallimentare, anzi si rivolge contro chi l’ha ordita.
Il tempo dell’impunità per Giulio Andreotti volge al termine e nel giro di due anni sarà lui a trovarsi sotto accusa per i rapporti con la mafia.
Svelare l’esistenza di una struttura segreta della Nato, con ripercussioni in tutta Europa, per una faida interna alla Democrazia cristiana e tentare la scalata alla presidenza della Repubblica costa caro a Giulio Andreotti che per la prima volta vede rivolgersi l’arma giudiziaria contro di lui.
Il solo a trarre beneficio dall’operazione è Felice Casson che, nel corso degli anni, grazie ai rapporti politici e giornalistici che coltiva assiduamente, riesce ad imporsi all’opinione pubblica come lo “scopritore” di “Gladio”, come già aveva fatto per l’inchiesta sull’attentato di Peteano di Sagrado.
E, su una fama immeritata e mendace, riesce a farsi portare in Senato da quell’ex Partito comunista i cui interessi Felice Casson ha sempre servito.
La verità, viceversa, è quella che abbiamo documentata in queste pagine basandoci sui fatti e sulle prove che vedono il giudice istruttore Carlo Mastelloni giungere all’individuazione della struttura segreta, delle sue articolazioni, della sua base segreta, del suo mezzo di trasporto e dei suoi depositi clandestini di armi, munizioni ed esplosivi nel 1988, ben due anni prima della “scoperta” ufficiale.
Una verità, quella raggiunta da Carlo Mastelloni, che è stata bloccata da due presidenti del Consiglio – Ciriaco De Mita e Giulio Andreotti – e poi dirottata per abietti motivi dal secondo nell’ufficio di Felice Casson che, come aveva già fatto per l’attentato di Peteano di Sagrado, si è ben prestato a prendersi il merito di aver scoperto quello che altri prima di lui e meglio di lui avevano scoperto ed affermato.
Giulio Andreotti sapeva bene di non poter contare sulla complicità del giudice istruttore Carlo Mastelloni per portare a termine la sua manovra politica.
I disonesti sanno riconoscere gli onesti. E Andreotti sapeva che Carlo Mastelloni ha sempre fatto esclusivamente il giudice e il giudice avrebbe continuato a fare, che avrebbe certamente indagato sulla ipotesi suggerita dal generale Pasquale Notarnicola del collegamento fra Peteano e Gladio ma, poi, avrebbe finito per smentirla per assoluta mancanza di indizi.
Non restava, pertanto, che Felice Casson le cui inchieste erano di tipo giornalistico-giudiziarie e capace, per assoluta mancanza di scrupoli e smisurata ambizione, di trasformare una mera ipotesi in una certezza, sia pure giornalistica e non giudiziaria, sulla quale speculare per ricavarne tante interviste e tanta pubblicità per, poi, farei un suo ingresso che riteneva trionfale in politica.
Ma la mediocrità dell’individuo è emersa in tutta la sua evidenza nei tentativi grotteschi di farsi eleggere sindaco a Venezia, per due volte, senza riuscirci e nel restare confinato nel ruolo di sherpa senatoriale.
Rimane ancora irrisolto il problema dell’uso politico della giustizia, della facilità irrisoria con la quale uomini politici possono manovrare a loro piacimento la magistratura promuovendo inchieste, determinando processi e condizionandone a priori l’esito.
Un problema che investe direttamente la politica e la magistratura, perché senza la complicità consapevole di tanti magistrati tutto questo non sarebbe mai accaduto né potrebbe ancora ripetersi.
Non si può governare la magistratura con un Consiglio superiore che è un mero organo politico in cui gli amici e gli amici degli amici riescono puntualmente a garantire le carriere di magistrati che, ictu oculi, rappresentano gli interessi dei partiti di riferimento e non quelli della giustizia.
Allo stato possiamo pacificamente escludere che il potere giudiziario sia indipendente da quello esecutivo, e lo provano le carriere prima giudiziarie e poi politiche di tanti magistrati che rappresentano l’aspetto deteriore di una magistratura che preferisce servire gli interessi della politica e dei politici piuttosto che quelli della legge e della giustizia.
L’esempio che abbiamo portato in queste pagine è solo uno dei tanti che costellano la storia della magistratura italiana nel dopoguerra, e che hanno finito per togliere all’ordine giudiziario ogni credibilità.
Ci sono uomini, magistrati, che in silenzio hanno fatto e continuano a fare il loro dovere. Abbiamo citato in passato Guido Salvini ed ora Carlo Mastelloni, attualmente procuratore della Repubblica a Trieste, che dovrebbero essere portati ad esempio dinanzi ad un’opinione pubblica che, viceversa, ha sempre assistito sconcertata alle esibizioni dei Claudio Vitalone e dei Felice Casson (solo per citare due esempi) e si è sempre chiesta chi dovrebbe proteggere questo popolo dall’ingiustizia e dalla menzogna se questi sono i campioni della magistratura passati poi alla politica.
La risposta si trova nello ristabilimento delle verità travisate e falsificate, e nei provvedimenti da assumere a carico di quanti hanno trasformato il mestiere di giudice in un redditizio affare personale.
Nulla di eccezionale serve fare per condannarli all’oblio: è sufficiente applicare le norme del codice penale che sanzionano il millantato credito, il depistaggio e la calunnia.
È il modo migliore per iniziare a ripulire Tribunali e Parlamento.
Vincenzo Vinciguerra