venerdì 31 marzo 2017

IL PROGRESSO AVANZA, ma la civiltà muore

IL PROGRESSO AVANZA, ma la civiltà muore

di Gianfredo Ruggiero

Quando, nel 1922, si insediò il nuovo governo a guida fascista il primo provvedimento in ambito sociale fu l’abolizione del lavoro minorile, seguito dalla settimana lavorativa di 40 ore, dalle ferie retribuite, dall’istituzione dell’INPS e dell’INAIL, dalla Magistratura del Lavoro, dai contratti collettivi, dalla liquidazione (TFR), dalle case popolari, dalle colonie estive, dalle esenzioni tributarie per le famiglie numerose, dalla sanità pubblica e dalla scuola per tutti … in poche parole fu fondato lo Stato Sociale, invidiato da tutto il mondo civile e poi malamente scimmiottato da Roosevelt con il New Deal americano (l’America si risollevò dalla grande depressione degli anni trenta solo con l’entrata in guerra che diede slancio all’industria degli armamenti, ancora oggi pilastro dell’economia USA).
Lo Stato Sociale fu poi completato nel 1943 con la “Socializzazione delle Imprese” che introdusse nell’ordinamento italiano la partecipazione dei lavoratori alla gestione ed agli utili delle grandi Aziende, immediatamente abolita nel 1945 come primo atto del nuovo governo di liberazione.
Di questa idea rivoluzionaria, che se mantenuta avrebbe posto fine alla contrapposizione padroni-operai e superato in un sol colpo le ideologie marxista e capitalista, rimane solo una labile traccia nella nostra Costituzione (art.46). La Germania, invece, ne ha tratto spunto per introdurre la cogestione, motore della sua possente economia.
In quegli anni, grazie alla diffusa libertà d’Impresa (si soppresse la libertà politica per esaltare le libertà civili, afferma lo storico Gioacchino Volpe), il sostegno del Governo all’economia, al controllo sull’operato delle banche e alla successiva istituzione dell’IRI e dell’IMI, si affermarono tutte quelle grandi Imprese, a partire dalla Fiat, che oggi conosciamo.
Molte di queste grandi Aziende, che hanno fatto dell’Italia una potenza economica mondiale, sono oggi scomparse, trasferite all’estero o trasformate in semplici marchi commerciali.
La  globalizzazione, imposta dalla finanza apolide e accettata da tutti i governi, ha sostituito il principio fascista dell’interesse nazionale con quello capitalista del libero mercato che significa: produco dove mi pare e alle condizioni che voglio e i risultati, in termini di delocalizzazioni industriali, invasione di prodotti cinesi,  guerra tra poveri che contrappone immigrati sfruttati a disoccupati italiani e conseguente razzismo strisciante, sono sotto gli occhi di tutti.
Con la fine del Fascismo iniziò il graduale smantellamento dello Stato Sociale, paradossalmente difeso dalla sinistra (prima che diventasse forza di governo).
Negli ultimi decenni la scellerata politica delle privatizzazioni e della flessibilità del lavoro, voluta dalla destra e accetta dalla sinistra (non a caso il lavoro interinale è stato introdotto da Prodi e perfezionato da Berlusconi), ha cancellato ogni residua traccia dello Stato Sociale voluto da Mussolini.
La pietra tombale è stata posta oggi dalla riforma FIAT-Marchionne che con i referendum-ricatto ha riportato l’Italia indietro di oltre 80 anni. Ai tempi dell'italietta giolittiana e dei “padroni dalla belle braghe bianche”.
….e la politica? Tace e acconsente.
Gianfredo Ruggiero, Presidente Circolo Excalibur
Excalibur
 
Circolo Culturale Excalibur - Alternativa Verde
Varese (Italia)
Cod. Fiscale 91049420127
 
 

venerdì 24 marzo 2017

GUERNICA: UN MASSACRO INVENTATO - un falso storico

GUERNICA: UN MASSACRO INVENTATO - un falso storico al capolinea

Pubblicata da Pietro Ferrari 
Milioni di persone attraverso gli anni, a partire da quel fatale 26 Aprile 1937, si sono commosse e hanno maledetto la ferocia criminale della Legione Condor per aver raso al suolo, con centinaia di vittime, l'inerme cittadina di Guernica, città santa dei Baschi, durante la Guerra Civile Spagnola (1936-1939). Folle attonite e silenziose, per lunghi anni, hanno visitato la saletta del Metropolitan Museum di New York per vedere il presunto capolavoro di Picasso, metafora "artistica" del massacro.
La versione dell'episodio bellico passata alla storia come definitiva è quella sapientemente tratteggiata, con l'efficace contrasto tra la città tranquilla e ignara e la malvagità dell'aggressore, da Hugh Thomas nella sua Guerra Civile in Spagna. Dice Thomas: «Guernica è un piccolo centro abitato situato in una valle a dieci chilometri dal mare e a trenta da Bilbao. Il 26 Aprile 1937 era un giorno di mercato e proprio mentre i villici ammonticchiavano le loro mercanzie, le campane della chiesa presero a suonare a distesa. Era l'annuncio di un'incursione aerea. I bombardieri germanici volarono a ondate successive sulla cittadina, cancellandola dall'atlante geografico: essi intendevano compiere un esperimento terroristico, volevano provare l'effetto dei terrore di un bombardamento sopra una popolazione civile. L'era moderna del terrorismo dall'alto nacque in quel giorno, a Guernica». Il tragico bilancio di tale "esperimento terroristico" sarebbe stato di circa 1.600 morti e 900 feriti procurati tra la popolazione inerme schiacciata sotto le macerie delle case e nell'affollato mercato.
Il nome di Guernica continua a evocare, ossessivamente e inscindibilmente, gli orrori delle guerre in genere e la barbarie nazista. Un importante contributo nel dare l'abbrivio alla storia della strage, precisandone in 1.654 le vittime, fu dato dall'inventiva sospetta di quattro corrispondenti di guerra inglesi, Noel Monks, Christopher Holme, Mathieu Connan e, soprattutto, George L. Steer che, senza essere sul posto, inviarono ai loro giornali, da Bilbao, catastrofici e macabri articoli.
In realtà, ci troviamo qui di fronte a una delle innumerevoli menzogne della storia ufficiale, quella che si studia nelle scuole, per intenderci, e quello che effettivamente avvenne in quel giorno di cinquantotto anni fa ha ben poco a vedere con quanto ci è stato raccontato. Va detto, innanzitutto, che il Thomas, nella seconda edizione della sua Guerra Civile in Spagna, documentatosi meglio, ridusse i 1.654 morti della prima edizione a soli duecento, e ciò è un segnale ben preciso della fantasiosità del crudele massacro. Ma non basta. Sul finire degli anni '60, lo scrittore militare spagnolo Luis Bolin, nel suo libro "Spagna, gli anni decisivi", servendosi, per primo, dei documenti operativi delle Forze Armate nazionali che avanzavano verso Guernica, ricostruì, inascoltato, la realtà delle cose. Bolin riteneva questi dispacci di grande peso storico, sia perché disponibili in originale e sia perché, essendo riservati al comandante in capo di quella zona militare e quindi non destinati alla pubblicazione, non vi era motivo per falsificarli. Bolin riscontrò, tra l'altro, che Guernica era ben protetta e un fonogramma attestava che diversi battaglioni la difendevano.
Di notevole importanza è un altro fonogramma del comandante delle forze nazionaliste del 28 Aprile, e quindi successivo di due giorni al presunto bombardamento a tappeto, di cui Luis Bolin cita le seguenti frasi: «I nostri uomini erano ansiosi di entrare in città. Già sapevano che il nemico aveva evacuato Guernica dopo aver compiuto il crimine di annientarla, salvo poi ad imputarne la distruzione all'opera dei nostri piloti aerei. Certo è che non si sono trovate a Guernica le caratteristiche buche prodotte da bombe piovute dall'alto. Non v'era di che meravigliarsi, visto che negli ultimi giorni di Aprile l'aviazione nazionale non aveva potuto alzarsi in volo a causa della nebbia e delle piogge persistenti. Già i Baschi che, colti dal panico, passavano nelle nostre file, apparivano atterriti dalle tragedie inflitte, anche in precedenza, a città come Guernica deliberatamente incendiate e distrutte dai rossi mentre ancora i nazionali si trovavano per lo meno a una decina di chilometri di distanza».
È bene precisare che la verità su quanto accaduto a Guernica fu subito divulgata dall'agenzia francese Havas e dal corrispondente del quotidiano inglese Times, Douglas Jerrold, che resero noto, insieme al fatto che strade e giardini erano indenni e privi dei caratteristici crateri, che la cittadina era stata ridotta in cenere da terra invece che dall'alto poiché «se in periferia si poteva notare qualche buca da bombe, le pareti delle case nei punti maggiormente demoliti non recavano traccia alcuna di schegge di bombe».
Queste preziose informazioni non furono raccolte e, invece, partì la colossale montatura del bombardamento selvaggio, costruita a Parigi dal comunista tedesco Willi Munzenberg, agente del Comintern, così descritto da Arthur Koestler: «Inventa pretesti, riunioni, indignazione, comitati, come un prestigiatore tira fuori i conigli dal suo cappello». Lo scopo di questa menzogna, creata a tavolino, sarebbe stato quello di distogliere l'attenzione del mondo dalla imminente caduta di Bilbao, e perciò dalla sconfitta della causa antifranchista nel Nord del paese con la clamorosa fuga, con generali e ministri, del presidente basco Aguirre.
Una operazione con uso di menzogna, quindi, e i comunisti, da bravi atei e amorali, non hanno mai avuto problemi o scrupoli nell'uso della menzogna. La diversione strategica ottenuta coincideva, altresì, con una criminalizzazione del nemico suscitante profondi e redditizi stati emotivi nelle masse. Insomma, i rossi da questa montatura avevano tutto da guadagnare.
Cominciamo, allora, a dire cosa veramente accadde in quel famoso pomeriggio del 26 aprile 1937 con l'ausilio prezioso di Renzo Lodoli che ha pubblicato, su *** del gen/feb '90, i risultati di una sua ricerca effettuata negli archivi (italiani, tedeschi e spagnoli di entrambe le parti combattenti), consultando documenti che sono alla portata di tutti.
La città di Guernica, famosa per il suo albero sotto cui i Re spagnoli giuravano solennemente il rispetto dei fueros locali (gli statuti dell'autonomia di Euzcadi), escludendo le frazioni e tenendo presente l'alto numero di sfollati nelle retrovie, contava, in quel fine aprile, molto meno di 4.000 residenti, e il mercato settimanale del lunedì mattina, in quel giorno 26, non ebbe luogo poiché vietato dal Delegato del Governo in Guernica, Francisco Lazcano, a causa dei nazionali molto vicini. Guernica non era una città aperta e non era senza difesa; tre battaglioni di gudaris, per complessivi 2.000 uomini, erano sistemati in vari conventi e scuole mentre, nel pomeriggio, cominciarono ad affluire i primi reparti della la, 2a e 4a Brigate repubblicane che attraversarono la zona quella notte, ritirandosi. I repubblicani stimavano possibile un attacco aereo, tant'è che dal 31 Marzo avevano costruito sette grandi rifugi aerei. In effetti Guernica, oltre ad ospitare una fabbrica di pistole (la Unceta y Compania) e una di bombe per aviazione (la Talleres de Guernica), era un nodo stradale e ferroviario importantissimo per il ripiegamento dei Rossi e, da almeno due documenti delle forze antirepubblicane, risulta come obiettivo previsto per bombardamento. Inoltre, il 25 Aprile, il Governo basco aveva ordinato una disperata difesa di Bilbao sulla linea Guernica-Amorrabieta-Gorbea, per almeno ritardare l'avanzata della 1a e 2a Brigate di Navarra. L'azione aerea, mirante a danneggiare il ponte di Renteria sul fiume Oca e le strade ivi convergenti, si proponeva, colpendo le vie d'accesso obbligate e chi le percorreva, di bloccare o almeno intralciare il ripiegamento che veniva operato dalle truppe basche.
Tra le ore 16,15 e 16,30, tre aerei non modernissimi, un Dormir 17F1 e due Heinkel 111 agenti in direzione est-ovest, sganciarono circa due tonnellate di bombe sugli obiettivi senza danneggiamenti apprezzabili. L'unico passaggio effettuato dai velivoli, rapportando spazio percorso e velocità, non prese che poco più di un minuto e mezzo. Alle ore 16,30, poi, durante un sorvolo di meno di un minuto, furono sganciate 36 bombe da 50 kg, mentre il ponte restava ancora indenne. Questa azione fu condotta dal capitano Raina che comandava tre S79 italiani e l'ordine di operazione, stilato dal Colonnello Raffaelli e depositato negli archivi dell'Aeronautica Italiana, prescriveva: «Per evidenti ragioni politiche, il paese non deve essere bombardato».
A questo bombardamento seguirono due ore in cui nulla accadde fino a quando, alle ore 18,30, 18 o 17 Junkers 52, i più vecchi e lenti bombardieri tedeschi, divisi in tre squadriglie e provenienti da Burgos, solcarono il cielo di Guernica. Questi aerei erano compresi nel gruppo K88 della Legione Condor e, al comando del Ten. Colonnello von Richtofen, erano i caposquadriglia capitani von Knauer, von Beust e von Kraft. Questi Junkers, in pattuglie successive di tre, con un solo passaggio sulla direttiva nord-sud, scaricarono nei pressi del ponte di Renteria 18 (o 17) tonnellate di bombe. Ogni bomba era da 250 kg. Secondo i rilievi effettuati dall'ing. Stanislao Herran, confermati da planimetria, delle 39 bombe che esplosero, provocando ampi crateri, sette caddero sulla città. Per completare il quadro dell'azione aerea, va aggiunto che 15 caccia legionari FIAT CR32, divisi in due gruppi (10 e 5 ognuno), comandati dal Cap. Viola e dal Ten. Ricci, decollati da Vittoria, incrociarono gli Heinkel e gli Junkers con funzione protettiva, senza dover intervenire per l'assenza dei caccia nemici.
Eccoci quindi alle cifre vere; dice Lodoli: «I morti accertati furono 93. Precisamente: 33 fra i ruderi dell'Asilo Calzada, 15 alla curva di Udochea e 45 nel crollo del rifugio Santa Maria, appena ultimato e non ancora collaudato. Qualche altra vittima isolata deve probabilmente aggiungersi a quelle elencate secondo quanto affermato dal Gen. Jesus Larrazabal che, nel suo "Guernica: el bombardeo", ritiene la cifra complessiva dei morti inferiore o di poco superiore al centinaio e dichiara di essere in grado di rendere noto l'elenco nominativo». Ogni Junkers germanico lanciò sul bersaglio anche 288 spezzoni incediari da 1 Kg ciascuno, del tutto inefficaci nel danneggiamento di un ponte in muratura, e che perciò hanno favorito la tesi della volontà di strage sulla popolazione. Questa tesi cade, comunque, ove si consideri che lo scopo principale dell'azione aerea era di ostacolare il ripiegamento delle truppe basche e l'uso consueto degli spezzoni da 1 Kg era in funzione antiuomo.
Resta da dire qualcosa sull'opera di Picasso in cui, secondo Piero Buscaroli, "un cavallo pazzo nitrisce contro una lampadina tra ripugnanti pupazzi che smanacciano e scalciano" e lo facciamo dire a Renzo Lodoli, riportando le ultime righe del suo citato articolo: « Picasso si dichiarò stravolto dalla notizia e, nella sua sensibilità, offre al mondo intero la visione della sua "Guernica" messa a ferro e fuoco. Dove non c'è Guernica, né il ferro nè il fuoco, poiché in realtà solo di un quadro di tauromachia si tratta, dipinto da tempo, intitolato "En muerte del torero Joselito". Picasso ne cambiò il titolo e lo vendette al Governo Repubblicano per 300.000 pesetas d'epoca (circa due miliardi di lire attuali). La falsata storia di Guernica ebbe così la sua bandiera, falsa ».
Guernica
Pablo Picasso - En muerte del torero Joselito
Oltre all' articolo di Lodoli, vedi pure: GUERNICA FU DISTRUTTA DAI ROSSI E NON DALL'AVIAZIONE DI HITLER di Dante Pariset sul del 5.2.73 e GUERNICA, 50 ANNI DI MENZOGNE di Piero Buscaroli su Il Giornale del 9.4.95


Articolo uscito su ANTICAOS ASS. EPICENTRO 
                                                                                                                                       

martedì 21 marzo 2017

ANCORA SULLA STORIA FALSIFICATA

Ancora sulla storia falsificata – Filippo Giannini                                                                   

G.C. -  Filippo Giannini
Autorizzato dal suo autore (*), riprendo questo articolo che evidenzia ancora una volta come la Storia che ci raccontano sia falsata e funzionale alla creazione di certi “miti”. Ancora una volta, insomma, è proprio il caso di dirlo: Ingannati, fin dai tempi della scuola.
(*) Filippo Giannini è nato a Roma.  Architetto, ha lavorato oltre che in Italia, in Libia e in Australia, vive a Cerveteri . E’ collaboratore di numerosi quotidiani e periodici.

Sempre nel ricordo di Piazzale Loreto
SOLITE INFAMIE
Questa volta ad opera di Paolo Mieli
di Filippo Giannini
   Ė vero: ho un caratteraccio! Sarà che ho ancora dentro di me lo spirito del Balilla che non sopporta le vigliaccate. Mi riferisco alla trasmissione di Ballarò del 23 aprile 2013, quando in un intervento del direttore de Il Corriere della Sera, Paolo Mieli, commentando uno dei tanti inciuci riguardanti il connubio PD/PdL, ebbe a ricordare (cito a memoria): <D’altra parte anche nel 1944, Togliatti rientrato in Italia si alleò con la Democrazia Cristiana e nel 1976 Il Partito Comunista di Berlinguer si alleò con Aldo Moro>. Poi il signor Mieli non poteva mancare di ricordare (e te pare!?) che Mussolini portò l’Italia allo sfascio della Seconda Guerra mondiale e alle infami leggi razziali. Per prima cosa osservo: non è possibile che un simile personaggio non conosca la Storia vera, e quindi la falsità di quanto asserisce.
Proviamo a dimostrare quanto sostengo.
Come e perché si giunse alla Seconda Guerra mondiale. Lo storico Rutilio Sermonti attesta (L’Italia nel XX Secolo): <La risposta poteva essere una sola: perché esse volevano un generale conflitto europeo quale unica risorsa per liberarsi della Germania – formidabile concorrente economico – e, soprattutto dell’Italia. Questo è necessario comprendere se si aspira alla realtà storica: soprattutto dell’Italia>.
Nella Conferenza di Ginevra sul disarmo (febbraio 1932), alla quale parteciparono sessantadue Nazioni, l’Italia era rappresenta­ta da Dino Grandi e da Italo Balbo. Grandi, a nome del popolo italiano, sostenne il progetto di una parificazione al livello più basso degli armamenti posseduti dalle singole Nazioni. Venne inoltre esposto il progetto mussoliniano tendente all’abolizione dell’artiglieria pesante, dei carri armati, delle navi da guerra, dei sottomarini, degli aerei da bombardamento, in altre parole la mes­sa al bando di tutto ciò che avrebbe potuto portare ad una guerra di distruzione.
Di fatto, la Conferenza non trovò sbocco alcuno per le oppo­sizioni di Francia e Germania.
Possibile che il signor Mieli non ricorda che Mussolini propose il Patto a Quattro (7 giugno 1933), proprio per integra­re, con un patto politico, l’Europa, mediante un diretto­rio delle quattro Potenze: Inghilterra, Francia, Germania e Italia. Il documento propositivo di Mussolini cominciò a circolare nei tre Stati interpellati. Il documento ebbe successo di siglatura, ma fallì quando, presentato per l’approvazione ai parlamenti inglese e francese la siglatura non fu rispettata e decadde definitivamente a Stresa nel 1935. Mussolini camminava nella tradizione romana, carolingia e cattolica: aspirazione antica sempre delusa. Mussolini aveva ammonito con lungimiranza: “Fare crollare la pace in Europa significa fare crollare l’Europa”>.
Visto che ci siamo, signor Mieli, perché non ricordare che Mussolini, quale Capo del Governo italiano si fece, ancora una volta, promo­tore di un incontro che si svolse a Stresa, nei pressi del Lago Maggiore, tra l’11 e il 14 aprile 1935, con i rappresentanti delle tre Potenze alleate della prima guerra mondiale: l’Italia (Mussolini), Gran Bretagna (MacDonald, J. Simon) e Francia (Laval, Flandin).
Al termine dei lavori fu stilato un documento nel quale i tre Governi constatarono che il ripudio unilaterale posto in essere dal Governo tedesco, nei suoi obblighi per il disarmo, avrebbe potuto pregiudicare la pace in Europa e si dichiararono in perfetto accor­do di opporsi con ogni mezzo a qualsiasi ulteriore disconosci­mento unilaterale degli obblighi previsti nei Trattati e si impegna­rono per una continuazione dei negoziati per il loro riesame. Rin­novarono anche il loro impegno per la sicurezza e l’indipendenza dell’Austria. Signor Mieli, perché  decaddero quegli acordi?
I detentori della maggior parte delle ricchezze della terra, Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti, perché pretesero e ottennero le sanzioni contro l’Italia nel 1935? Per difendere l’Etiopia? Ma non ci faccia ridere; l’Etiopia, forse sobillata proprio da questi Paesi fu responsabile dell’attacco al consolato italiano di Gondar, l’11 novembre 1934 (dove rimase ucciso un militare di colore fedele all’Italia) e, come ricorda il giornalista e storico svizzero, Paul Gentizon (Difesa dell’Italia): <Ancora nel 1924 l’Italia che ha appoggiato lealmente l’accoglimento dell’Etiopia nella Società delle Nazioni riceve festosamente a Roma Ras Tafari, firma con lui un Patto di amicizia accompagnato dalla offerta di un aiuto finanziario. Tutto ciò non disarma la boria e la malvagità del governo abissino che respinge sistematicamente le domande di concessioni e turba il libero commercio tra Eritrea e Etiopia con una tacitamente organizzata guerriglia di rapina. Gli incidenti scoppiano a catena e non si sa più come giustificarli o come accettarne le giustificazioni. Dal maggio ’28 all’agosto ’35 si allineano 26 offese a rappresentanti diplomatici, 15 aggressioni a cittadini italiani, 51 razzie: tutto ciò avviene in territorio italiano e i morti italiani non mancano>.
   La tensione nei rapporti italo-etiopici si aggravarono alla fine del 1934, quando un contingente abissino si accampò davanti al fortino di Ual-Ual difeso dai Dubat, soldati somali fedeli all’Ita­lia, al comando del capitano Roberto Cimmaruta. Lo storico Rutilio Sermonti (L’Italia nel XX Secolo, Edizioni All’Insegna del Veltro, 2001) attesta che le truppe assalitrici erano al comando del colonnello inglese Clifford.
Ual-Ual era una località posta al confine, sin da allora incerto, fra Somalia ed Etiopia, ma mai rivendicato dal Governo Abissino.
II 5 dicembre di quell’anno, dopo che i Dubat rifiutarono la richiesta abissina di sgombero, questi scatenarono l’assalto e lo scontro si concluse all’alba del giorno seguente con la vittoria ita­liana, ma le nostre truppe coloniali lasciarono sul terreno 120 morti. Si è scritto che dietro questo grave incidente ci fosse la mano di Londra e Parigi; ma questo non è provato.
Bruno Barrella su Il Giornale d’Italia del 18 luglio 1993, rammentando i fatti di Ual-Ual, scrive: <È l’ultimo di una catena di episodi di sangue che avvenivano lungo uno dei confini più la­bili dell’epoca>.
    Per risolvere pacificamente il dissidio creatosi a seguito degli incidenti di Ual-Ual, venne istituita una commissione arbitrale italo-etiopica, presieduta dallo specialista greco di diritto interna­zionale, Nicolaos Politis. La commissione, il 3 settembre 1935, emetteva la sentenza attribuendo le cause degli scontri agli atteg­giamenti ostili di alcune autorità locali abissine, escludendo, di conseguenza, ogni responsabilità italiana.
L’alleanza con il nazionalsocialismo? «Ades­so che la politica inglese aveva forzato Mussolini a schierarsi nell’altro campo, la Germania non era più sola» (La Seconda Guerra Mondiale, di Winston Churchill, 1° volume, pag. 209). Quasi con le stesse parole George Trevelyan nella sua “Storia d’Inghilterra”, a pag. 834, ha scritto: <E l’Italia che per la sua posizione geografica poteva impedire i nostri contatto con l’Austria e i Paesi balcanici, fu gettata in braccio alla Germania>. E vogliamo dimenticare il più noto studioso del fascismo?  Renzo De Felice (Storia degli Ebrei sotto il Fascismo, pag. 137): <Sulla ineluttabilità dell’alleanza con Hitler e quindi della necessità di eliminare tutti i motivi non solo di frizione, ma anche solo di disparità con la Germania>. Mussolini era conscio che l’antisemitismo occupava uno spazio preminente nell’ideologia nazionalsocialista, di conseguenza se voleva eliminare le ultime diffidenze tedesche, anche nel ricordo del “tradimento italiano del 1915” e giungere ad una reale alleanza militare, doveva adeguarsi alle circostanze. Riteniamo che fosse questa e non altre la ragione della scelta del Duce.
Tanto, ma tanto ancora avrei da scrivere e condannare i veri criminali dello scorso secolo, e mi riferisco a Franklin D. Roosevelt e Winston Churchill, personaggi abominevoli che galleggiano su un mare di sangue.
Passo ora a trattare l’argomento più infame: l’accusa di essere Mussolini la concausa della reale, o bugiarda accusa del massacro degli ebrei.
Signor Mieli, mi sa spiegare – e spiegarlo agli italiani – come mai negli anni 1938-1942 gli ebrei che fuggivano dai Paesi occupati dai tedeschi anziché rifugiarsi in Russia o in Inghilterra o negli Stati Uniti si rifugiavano in Italia ed erano decine di migliaia? Eppure in Italia vigevano le leggi razziali.
   Proverò a spiegarlo io, ma se sbagliassi, mi corregga. Se può.
Gli inglesi non usarono solo le parole, ma la violenza contro gli israeliti. Rosa Paini (storica ebrea, Il cammino della speranza) riferisce che nel ’41 un folto nucleo di famiglie fuggito da Bratislava, imbarcato sul piroscafo “Pendeho”, composto da 510 profughi cechi e slovacchi, dopo aver navigato sul Danubio giunse nel Mar Nero. Qui, e precisamente a Sulina, salì a bordo il console britannico e informò i malcapitati che il suo governo li considerava immigranti illegali: di conseguenza, se si fossero avvicinati alle coste della Palestina, sarebbero stati silurati. Dovettero quindi ripartire e, superati diversi incidenti, giunsero all’isola disabitata di Camillanissi dove non c’era nemmeno acqua. Sbarcati, assistettero impotenti all’affondamento del battello. Dopo cinque giorni di sofferenze sopraggiunse una nave della Croce Rossa Italiana che imbarcò i profughi per trasferirli a Rodi, dove rimasero alcuni mesi e quindi imbarcati e trasferiti in Italia. Fra i tanti vale la pena di ricordare un altro dramma: nel febbraio del 1942 lo “Struma”, una nave di profughi proveniente dalla Romania, si vide rifiutare dagli inglesi il permesso di sbarcare, e, respinta anche dai turchi, affondò nel Mar Nero: settecentosettanta persone annegarono (Paul Johnson, Storia degli ebrei, pag. 582).
Lo storico israelita Léon Poliakov (“Il nazismo e lo sterminio degli ebrei”, pag. 63) accusa apertamente il governo britannico ricordando che qualche convoglio clandestino, formato con l’aiuto di Eichmann, tentò di discendere il Danubio su barche, mirando alla Palestina, ma le autorità inglesi rifiutarono il passaggio di questi viaggiatori perchè sprovvisti di visto. <Così si assiste al paradosso che la “Gestapo” spinge gli ebrei verso il luogo della salvezza, mentre il governo democratico di Sua Maestà britannica ne preclude l’accesso alle future vittime dei forni crematori>.
Oppure:   L’esperto di sondaggi Elmo Roper osservò: <Gli Stati Uniti avrebbero certamente potuto accogliere un gran numero di profughi ebrei. Invece, durante il periodo bellico, ne furono ammessi soltanto 21 mila, il 10% del numero concesso secondo la legge delle quote. La ragione di questo fatto era l’ostilità dell’opinione pubblica. Tutti i gruppi patriottici, dall’American Legion ai Veterans of Foreign Wars, invocavano un divieto totale all’immigrazione. Ci fu più antisemitismo durante il periodo della guerra che in qualsiasi altro della storia americana (…). Negli anni 1942-44, ad esempio, tutte le sinagoghe di Washington Heights, New York, furono profanate>.
Un’altra testimonianza ci viene offerta dal “Neue Zürcher Zeitung”, il quale il 18 gennaio 2000 ha pubblicato una lettera a firma di Susi Weill che, fra l’altro, ha scritto: <I miei genitori avevano tentato invano di emigrare in America, ed oggi è un fatto stabilito che le rappresentanze diplomatiche americane in Europa avevano ricevuto l’ordine di respingere tali domande>.
Quando fu necessario, il governo americano usò la forza, come ricorda Franco Monaco (op. cit., pag.175): <Allorchè a un piroscafo carico di ebrei, partito da Amburgo, fu vietato l’attracco a New York, quei fuggiaschi vennero accolti in Italia e poi dislocati in varie zone della Francia, della Dalmazia e della Grecia>.
   Non è sufficiente? E allora andiamo avanti.
Ha scritto Daniele Vicini su “L’Indipendente” del 20 luglio 1993: <Ebrei e comunisti sciamano verso il Brennero, frontiera che possono varcare senza visto a differenza di altre (americana, sovietica, ecc.) apparentemente più congeniali alle loro esigenze>. Dello stesso parere è Klaus Voigt che in “Rifugio precario” osserva quanto fosse strana la dittatura fascista. Infatti scrisse: <Fino all’entrata in guerra dell’Italia non risulta neppure un caso di condanna o allontanamento di un emigrante per attività politica (…). Eppure dal 1936, la Germania è il principale alleato e quegli “emigranti” sono suoi nemici. Polizia e carabinieri ricevevano disposizioni dal Duce, chiare ed essenziali, anzi ridotte ad una sola parola: “Sorvegliare”. Non arrestare>. Allora, Signor Mieli, come ripeto: in Italia vigevano le leggi razziali. Tutti pazzi?
Andiamo avanti, Signor Mieli? Volentieri, fino a che lo spazio me lo concede.
<Mentre, in generale,  i governi filofascisti dell’Europa asservita non opponevano che fiacca resistenza all’attuazione di una rete sistematica di deportazioni capi del fascismo italiani manifestarono in questo campo un atteggiamento ben diverso. Ovunque penetrassero le truppe italiane, uno schermo protettore si levava di fronte agli ebrei (…). Un aperto conflitto si determinò tra Roma e Berlino a proposito del problema ebraico (…). È significativo il fatto che i tedeschi non sollevarono mai il problema degli ebrei in Italia. Certamente temevano di urtare la suscettibilità italiana (…). Appena giunte sui luoghi di loro giurisdizione, le autorità italiane annullavano le disposizioni decretate contro gli ebrei (…)> (Léon Poliakov, “Il nazismo e lo sterminio degli ebrei”, pagg. 219-220).
Andiamo avanti?
Poliakov scrive: <Mentre i Prefetti (francesi) ordinavano arresti e internamenti, allestivano convogli per la Gestapo, le autorità militari italiane, a dispetto delle minacce, ordinavano l’annullamento di tali ordini. Tra le autorità d’occupazione tedesche e il Governo di Berlino, tra il governo di Berlino e il Governo di Roma, tra le autorità di Vichy e i generali italiani vi era un continuo scambio di note nervose e impazienti. La Germania chiedeva all’Italia di agire nello spirito delle disposizioni tedesche. L’Italia rifiutava e resisteva>. Non solo, ma il Governo italiano ottenne che gli ebrei italiani residenti nelle zone occupate dall’esercito tedesco fossero esentati dall’obbligo di mostrare la stella giallaLo stesso accadeva nella Legazione di Bruxelles. Addirittura, secondo quanto scrive Martelli, che include un documento nel quale descrive come il Consolato Italiano di Bruxelles esigeva che venissero esentati dall’imporre la stella gialla e dai lavori forzati, anche gli ebrei greci perchè le truppe italiane occupavano parte del territorio greco. Questo, evidentemente era troppo, infatti un ordine del Conte Blanco Lanza d’Ajeta, del Ministero degli Esteri di Roma, con un telegramma datato agosto 1942, imponeva di <sospendere tutte le iniziative prese in merito ai cittadini ebrei greci>. http://motlc.wiesenthal.com
Lo stesso docente dell’Università ebraica di Gerusalemme, George L. Mosse, nel suo libro “Il razzismo in Europa”, a pag. 245 ha scritto: <Il principale alleato della Germania, l’Italia fascista, sabotò la politica ebraica nazista nei territori sotto il suo controllo. Le leggi razziali introdotte da Mussolini nel 1938 impedivano agli ebrei di svolgere molte attività e si tentò anche di raccogliere gli ebrei in squadre di lavoro forzato; ma mentre in Germania Hitler restringeva sempre più il numero di coloro che potevano sottrarsi alla legge, in Italia avveniva il contrario: le eccezioni furono legioni. Come abbiamo già detto, era stato Mussolini stesso a enunciare il principio “discriminare non perseguire”. Tuttavia l’esercito italiano si spinse anche più in là, indubbiamente con il tacito consenso di Mussolini (…). Ovunque, nell’Europa occupata dai nazisti, le ambasciate italiane protessero gli ebrei in grado di chiedere e ottenere la nazionalità italiana. Le deportazioni degli ebrei cominciarono solo dopo la caduta di Mussolini, quando i tedeschi occuparono l’Italia>.
Vedo che lo spazio a mia disposizione si esaurisce, allora oso chiedere al signor Mieli: se quanto ho scritto risultasse vero, perché tanta vigliaccheria verso l’unico statista onesto e capace che l’Italia abbia avuto da secoli? Mi permetto di esporre la mia idea riferendomi a quanto ha scritto Rutilio Sermonti, e riportato all’inizio di queste pagine: <La risposta poteva essere una sola: perché esse volevano un generale conflitto europeo quale unica risorsa per liberarsi della Germania – formidabile concorrente economico – e, soprattutto dell’Italia. Questo è necessario comprendere se si aspira alla realtà storica: soprattutto dell’Italia>. E la risposta viene per bocca dello stesso Benito Mussolini; nel corso di una intervista che il Duce concesse nel suo studio presso la Prefettura di Milano a Gian Gaetano Cabella, direttore del Popolo di Alessandria, nel pomeriggio del 20 aprile 1945, cioè sei giorni prima del suo assassinio: <RICORDATEVI BENE: ABBIAMO SPAVENTATO IL MONDO DEI GRANDI AFFARISTI E DEI GRANDI SPECULATORI (…)>.
E quel mondo dei grandi affaristi e dei grandi speculatori, oggi sono i padroni e il mondo è una loro colonia.
E l’abbiamo voluto noi, salvo pochi…e fra questi pochi, non ci sono i vari Mieli, Augias, Minoli ecc.
                                                                                                                                           


sabato 18 marzo 2017

LA STRAGE DI PORZUS

La località di Porzûs si trova nel Friuli orientale, ed esattamente nelle Valli del Torre, comune di Attimis. E’ in queste vallate che si consuma la tragedia di Porzûs.
Le formazioni partigiane Osoppo erano sorte formalmente nel dicembre 1943 con il concorso politico principale di Democrazia Cristiana e Partito d’Azione. In queste vallate i rapporti con i garibaldini e le formazioni partigiane slovene furono, a partire dall’autunno 1944, estremamente tesi, soprattutto dopo la decisione delle formazioni partigiane comuniste di passare alle dipendenze operative del 9º Corpus sloveno e quindi di Tito, con una popolazione che vedeva di cattivo occhio le formazioni partigiane, sia italiane che slovene, soprattutto dopo le feroci rappresaglie naziste seguite alla caduta del territorio libero di Attimis-Faedis-Nimis a fine settembre 1944.
Nell’inverno 1944-1945 si intrecciano una serie di colloqui clandestini (in realtà risaputi) tra la direzione dell’Osoppo, che aveva rifiutato di inquadrarsi nelle formazioni titine, e il comando delle SS e almeno in una caso tra l’Osoppo e la X MAS di Junio Valerio Borghese, con l’intento da parte fascista e nazista di costituire un fronte contro l’avanzante “slavocomunismo” – e almeno retrospettivamente, da parte dell’Osoppo, con l’intento di raggiungere un’accordo sull'”umanizzazione” della guerra.
Agendo in questo modo le formazioni Osoppo ricaddero sotto l’ordinanza del Comando Volontari della Libertà che a livello di direzione Italia Nord nell’ottobre 1944 qualificavano di “tradimento” – e questo in tempo di guerra equivale alla fucilazione – ogni trattativa con il nemico (direttiva ripresa dal CVL del Triveneto nel novembre 1944). D’altra parte queste trattative non si conclusero con alcun accordo (ed altrettanto vero era che l’applicazione rigida delle direttive militari nelle formazioni partigiane fu raramente attuata): le formazioni Osoppo non furono l’equivalente italiano dei belogardisti e delle Guardie Azzurre slovene che si schierarono militarmente con i nazisti – anzi parteciparono patriotticamente insieme ai garibaldini alla liberazione di diverse zone friulane a cavallo tra l’aprile e il maggio 1945.
In questo intreccio e in questa contraddizione prese forma l’azione dei GAP di “Giacca“-Toffanin contro gli osovani di “Bolla“-De Gregori nel febbraio 1945.
Il 7 febbraio del ’45 un centinaio di partigiani garibaldini, capeggiati dal gappista comunista Mario Toffanin, detto “Giacca“, e da Fortunato Pagnutti, detto “Dinamite“, salirono alle pendici dei monti Toplj-Uork, un gruppo di malghe a un’ora da Porzus, dove si trovava il quartier generale della Brigata Osoppo.
Qui disarmarono il comandante della Osoppo Francesco De Gregori (capitano degli Alpini, nome di battaglia “bolla”, zio del cantautore) e lo uccisero, insieme al commissario politico del Partito d’Azione Gastone Valente (“Enea“), al ventenne Giovanni Comin (“Gruaro“) e a Elda Turchetti (indicata da Radio Londra come presunta “spia” dei tedeschi, ma assolta dopo un processo dai partigiani verdi).
L’altro comandante delle Osoppo, Aldo Bricco (“Centina”), pur ferito a colpi di mitra riuscì a fuggire. I gappisti si fecero aprire i bunker, impadronendosi del materiale di un aviolancio procurato dalla missione dell’inglese Thomas Roworth (Nicholson), e fecero prigionieri altri 16 osovani, tra cui Guido Pasolini (“Ermes”), fratello dello scrittore, portandoli al Bosco Romagno.
Nei giorni seguenti, dopo sommari processi, li fucilarono (due però furono risparmiati e passarono nelle file dei Gap). L’accusa per tutti era quella di osteggiare la politica di alleanza con la resistenza jugoslava di Tito e di trattare con i tedeschi e con i fascisti della X Mas di Borghese per un’intesa volta ad impedire l’annessione di territori italiani alla Slovenia.
Sette anni dopo, nel ’52, trentasei dei responsabili dell’eccidio, tra cui Toffanin (che però era riparato in Jugoslavia), furono condannati a 777 anni di carcere, con sentenza confermata in appello. In seguito a varie amnistie, furono liberati. A De Gregori fu riconosciuta la medaglia d’oro al valor militare alla memoria.
La testimonianza di Vanni
“L’eccidio di Porzus e del Bosco Romagno, dove furono trucidati 20 partigiani osovani, è stato un crimine di guerra che esclude ogni giustificazione. E la Corte d’Assise di Lucca ha fatto giustizia condannando gli autori di tale misfatto.
Benché il mandante di tale eccidio sia stato il Comando sloveno del IX Korpus, gli esecutori, però, erano gappisti dipendenti anche militarmente dalla Federazione del Pci di Udine, i cui dirigenti si resero complici del barbaro misfatto e siccome i Gap erano formazioni garibaldine, quale dirigente comunista d’allora e ultimo membro vivente del Comando Raggruppamento divisioni “Garibaldi-Friuli”, assumo la responsabilità oggettiva a nome mio personale e di tutti coloro che concordano con questa posizione.
E chiedo formalmente scusa e perdono agli eredi delle vittime del barbaro eccidio.
Come affermò a suo tempo lo storico Marco Cesselli, questa dichiarazione l’avrebbe dovuta fare il Comando Raggruppamento divisioni “Garibaldi-Friuli” quando era in corso il processo di Lucca. Purtroppo, la situazione politica da guerra fredda non lo rese possibile”.
(Giovanni Padovan “Vanni” già commissario politico della divisione Garibaldi-Natisone)
Lo stesso episodio nella ricostruzione di Indro Montanelli:
[…] La Osoppo combatteva al confine con il mondo slavo: in un settore cioè dove Tito e i soi emissari già annunciavano i più avidi propositi di annessione ai territori italiani, e dove i garibaldini, diversamente dagli altri partigiani italiani, erano disposti in nome dell’ideologia ad accettare questa “mainmise” straniera.
Tra Tito e Bonomi (o Cadorna) sceglievano Tito. è stato scritto dalla pubblicistica comunista – ripresa da Bocca piuttosto acriticamente – che la Osoppo commise l’errore di lasciare alle malghe di Porzus un distaccamento agli ordini di Francesco De Gregori detto Bolla, “uomo sbagliato nel luogo sbagliato”.
Perchè sbagliato?
Perchè (citiamo Bocca) “è un attesista effetto da grafomania, il quale invece di difendere l’italianità del luogo sui campi di battaglia scrive in continuazione rapporti al CLN di Udine sulle mene slavo-comuniste“. […]
Era invece un deciso anticomunista, preoccupato dall’espansionismo titino: il che gli era valso l’odio dei garibaldini della brigata Natisone i quali operavano agli ordini del IX Corpus sloveno.
Tra i garibaldini era Mario Toffanin detto “Giacca”, un gappista padovano che osannava Stalin e vedeva spie ovunque, anche tra gli altri partigiani se non erano dela sua risma. […].
Il 7 febbraio del 1945 “Giacca” marciò sulle malghe di Porzus, catturò con uno stratagemma gli uomini della Osoppo, e li sterminò accusandoli di inesistenti collusioni con i tedeschi. Tutti fascisti, decretò, avviando le esecuzioni. Questa vicenda attestò nel sangue che, sul confine, i comunisti stavano “dall’altra parte“.
Lo si vide anche nel CLN di Trieste, dal quale i delegati del PCI uscirono dopo che era stata respinta la loro proposta di inserirvi un rappresentante degli sloveni […] (p. 256-258

(da L’Italia della guerra civile (8 settembre 1943 – 9 maggio 1946)” di Indro Montanelli e Mario Cervi Rizzoli- 20011

                                                                                                                                               

mercoledì 15 marzo 2017

BANKSTERS / IL PIACERE DI ROVINARE IL PROSSIMO

Blog politicamente scorretto contro la dittatura del pensiero unico, coordinato dall' avvocato Edoardo Longo.

BANKSTERS / IL PIACERE DI ROVINARE IL PROSSIMO



Milton Friedman, il padre  del liberismo totale, scrisse nel 1970: “Massimizzare il valore per gli azionisti è la sola responsabilità di un’azienda”.

Questo concetto viene inculcato nella testa di tutti i rampanti sgomitatori che rincorrono il miraggio della carriera. Questo idolo del capitalismo moderno crea i sui schiavi, disposti a sacrificare sull’altare del profitto aziendale qualsiasi cosa. Non a caso Gesù Cristo disse che “non è possibile servire due padroni: Dio e Mammona”, a significare che quando il denaro (in aramaico mammona) prende il posto di Dio Creatore si inverte tutto l’ordine naturale delle cose.

Il fariseismo, il calvinismo e il liberismo tendono a fare delle ricchezze una benedizione divina se non addirittura una ‘divinità’, segno di predilezione del Cielo, scambiando la ricchezza per il Bene infinito, Mammona al posto di Dio.

L’Etica Protestante è funzionale al sistema capitalistico. Molti non sanno che lo sterminio di centinaia di migliaia di contadini negli anni dal 1524 al 1526 si deve proprio a Lutero:

“Per me penso che non vi sia più nessun demonio giù nell’inferno, ma che tutti siano passati nei contadini….. Chiunque lo può deve colpire, scannare, massacrare in pubblico o in segreto, ponendo mente che nulla può esistere di più velenoso, nocivo e diabolico di un sedizioso…. Così strani e stupefacenti sono i tempi, che un principe spargendo sangue può guadagnarsi il Cielo meglio che altri pregando …” (M. Lutero)

Il modello che ci hanno detto essere contrapposto al capitalismo è il comunismo. Così ce l’hanno raccontata. In realtà anche la contrapposizione tra i due modelli è un falso mito. Il comunismo ha realizzato di fatto un “capitalismo di stato” dove al posto della multinazionale del capitalismo privato c’era il partito comunista. Cambia la forma ma la sostanza è la stessa: un gruppo di persone che controllano le tutte le risorse ed i profitti nel loro esclusivo interesse.

Ritorniamo ora alle aziende di oggi. Il professor Joel  Bakan, docente di diritto all’università della Colombia Britannica (Canada) ha  contribuito ad uno studio dal titolo  “Do Psychopats run the World?”,  gli psicopatici comandano il mondo?



Il conformarsi alla legge del profitto aziendale ha prodotto una classe dirigente che obbedisce ad un’etica economicistica, dove si spaccia il sacrificio economico sotto parvenza di sacrificio etico. Chi ha interesse a pianificare un’etica economicistica è chi appunto gode del sacrificio economico, cioè gli azionisti di maggioranza di banche e multinazionali ed i loro obbedienti tirapiedi in giacca e cravatta, cioè i dirigenti.

L’etica cristiana viene soppressa, non è più “utile ciò che è giusto”, ma diventa “giusto ciò che è utile”.

Un’azienda  programmata per sfruttare il lavoratore ottenendo il massimo profitto, è un’azienda in cui anche le persone buone sono forzate a comportarsi male, è un’azienda che produce psicopatici. E'  difficile “rispettare” il prossimo  quando  la  realtà delle  cose  ci  dice  che altrimenti si rischia non conquistare le gratificazioni che il mondo del lavoro ci sbatte in faccia come meta da raggiungere.

“Non esistono mestieri bassi, esistono solo uomini bassi. Come nel corpo umano vi sono i piedi, le gambe, il cuore e la testa, così è nel corpo sociale. E come i piedi non possono fare a meno della testa, così la testa non può disprezzare i piedi, perché sono “bassi” (Apologo di Menenio Agrippa).

In molte aziende queste persone sono considerati come aventi capacità di leadership, a dispetto del  rendimento cattivo e delle  note sfavorevoli dei subordinati. Anche se sono pessimi gestori e con poco spirito di gruppo, hanno però la comunicazione, la persuasione e abilità nelle relazioni interpersonali. Sono disposti a sacrificare le persone sotto di loro senza esitazione, ed a conformarsi a qualsiasi direttiva venga dall’alto.

Sono l’antitesi delle virtù cristiane, quelle virtù che ci dicono di conformarci invece alle leggi di Dio ed alle leggi naturali. Opprimere i lavoratori è uno dei peccati che grida vendetta al cospetto di Dio. L’altro è defraudare i lavoratori della loro giusta mercede; che accade con la tassazione quando i governi su 10 ore di lavoro ce ne tolgono almeno 7 per non darci niente in cambio; accade con i megastipendi dati ai dirigenti, che fanno lievitare i costi indiretti di tutti i lavoratori sui quali ricadono i tagli.

Gli psichiatri sostengono che lo psicopatico ha “una infallibile capacità di cercare e privilegiare le relazioni con i più alti in autorità, e mostra  una formidabile abilità a influenzarle” (Dennis  Doren, Understanding and Treating the Psychopath, Wile, 1987) .


Questa mentalità malata la ritroviamo anche nelle parole di Padoa  Schioppa “Nell’Europa continentale, un programma completo di riforme strutturali […]  delle pensioni, della sanità, del mercato del lavoro, della scuola..,  dev’essere guidato da un unico principio: attenuare quel diaframma di protezioni che nel corso del Ventesimo secolo hanno progressivamente allontanato l’ individuo dal contatto diretto con la durezza del vivere, con i rovesci della fortuna, con la sanzione o il premio ai suoi difetti o qualità“.

Per non parlare della perversione che si raggiunge nei vertici dell’attività bancaria: “Con una combinazione di tasse elevate e competizione sleale porteremo alla rovina economica i Goyim nei loro interessi economici e finanziari e nei loro investimenti. Gli aumenti salariali dei lavoratori non devono beneficiarli in alcun modo…. 

Si dovrà provocare la depressione industriale e il panico finanziario: la disoccupazione forzata e la fame, imposta alle masse, col potere che noi abbiamo di creare scarsità di cibo, creerà il diritto del Capitale di regnare in modo più sicuro…”  ( Barone Rotschild ). 



Anonimo Pontino


                                                                                                                                                                         

domenica 12 marzo 2017

CRIMINI DI GUERRA DELLA "DEMOCRAZIA" AMERICANA

 

SVILUPPO DI ARMI ATOMICHE

 La prima bomba atomica  fu sperimentata ad Alamogordo (USA) nel 1945, e poche settimane dopo provata macabramente su esseri umani a Hiroshima e Nagasaki.
Il monopolio americano sulla più potente delle armi (a cui nel 1949 se ne affiancò una simile ancora più distruttiva, la bomba H a  fusione di idrogeno) durò però poco. L'URSS realizzò la bomba nel 1949, la Gran Bretagna del 1952, la Francia nel 1960, la Cina nel 1964. Successivamente hanno realizzato la bomba Israele, India, Pakistan, Corea del Nord. Lo scioglimento dell'Unione Sovietica nel 1991 ha poi comportato che, oltre alla Russia, ciascuna delle altre 14 repubbliche indipendenti possiedono armi nucleari.
Mentre da una parte l'idea che alcune potenze possiedano migliaia di testate nucleari capaci tutte insieme di uccidere centinaia di milioni di persone atterrisce l'umanità, dall'altra è proprio l'enorme potenza di queste armi ad assicurare che non verranno usate: chiunque lanciasse un attacco nucleare verrebbe distrutto da un contrattacco di rappresaglia dell'avversario. Ciascuna delle potenze nucleari sono effettivamente motivate dichiara quindi che in nessun caso attaccherebbe per prima.
Ma, a partire dalla fine degli anni il governo americano annuncia al mondo, in più occasioni, di valutare l'ipotesi di lanciare attacchi con armi nucleari. Ne parla prima a proposito della Libia di Gheddafi, che secondo Washington avrebbe una fabbrica di armi chimiche nascosta sotto una montagna, poi a proposito di Bin Laden e dei suoi rifugi nelle caverne dell'Afghanistan.

SVILUPPO DI ARMI BATTERIOLOGICHE E CHIMICHE

Negli ultimi sessant'anni gli Stati Uniti hanno ripetutamente violato la Convenzione di Ginevra, anche producendo, commercializzando e utilizzando armi proibite.
E' noto che i giapponesi hanno condotto nella Manciuria occupata forme di guerra batteriologica utilizzando bacilli di peste, colera e leptospirosi prodotti nella famigerata Unità 731 diretta dal professore Shiro Ishii, che si serviva dei prigionieri di guerra per i propri esperimenti. Sconfitto il Giappone, l'esercito americano di occupazione catturò Shiro Isii, ma invece di processarlo per crimini di guerra, lo portò Fort Detrick (USA) dove già dal 1940 (come risulta da documenti declassificati recentemente) venivano selezionati, prodotti e stivati in bombe o testate missilistiche germi di peste, morva, tifo petecchiale, carbonchio. Si tratta uno dei progetti meglio custoditi della seconda guerra mondiale e che ha impegnato circa 7.000 scienziati. Gli anni '50 e '60 vedono poi una frenetica corsa per la produzione di microrganismi sempre più micidiali. Attacchi batteriologici da parte degli USA sono documentati nel corso della guerra di Corea e più recentemente contro Cuba.
Anche la produzione di armi chimiche è massiccia in USA. In Vietnam vengono sparse migliaia di tonnellate di agente Orange, un defogliante fortemente tossico anche per le persone, che causa decine di migliaia di nascite di bambini deformi. Il gas C3, fortemente irritante, viene invece usato per costringere i vietcong a uscire dalle gallerie in cui si nascondono per sfuggire al napalm.


SVILUPPO DI ARMI NON CONVENZIONALI

NAPALM

Utilizzato massicciamente nella guerra di Corea e in Vietnam, il napalm è una miscela incendiaria usata come ingrediente per bombe d'aereo. Produce una grande fiammata che incenerisce chi si trova a breve distanza, mentre le gocce di napalm scagliate intorno in tutte le direzioni aderiscono alle persone continuando a bruciare per 10 minuti e provocando atroci sofferenze.

URANIO IMPOVERITO

I proiettili all'uranio impoverito (residuo della produzione delle armi atomiche, tossico e debolmente radioattivo) sono stati usati in grande quantità contro i mezzi corazzati in Iraq e in Jugoslavia. Per la sua elevata densità l'uranio riesce a perforare corazze molto spesse, e per il calore vaporizza avvelenando gli occupanti del veicolo. Si tratta quindi di un'arma chimica. Questi proiettili, che in gran parte penetrano profondamente nel terreno, inquinano gravemente le falde idriche.

CLUSTER BOMB

Le cluster-bomb (bombe a grappolo) sono grandi involucri che, in prossimità del suolo si aprono scagliando intorno centinaia di piccole mine antiuomo, il cui rivestimento è studiato per frammentarsi in centinaia di lame taglienti. Le submunizioni in parte scoppiano subito, in parte esplodono successivamente in tempi diversi, in parte restano pronte a scoppiare in seguito a vibrazioni o urti. Oltre a causare enormi perdite umane, impediscono i soccorsi e minano il territorio. Le ferite causate sono strazianti e molto difficili da curare. Lo sminamento è difficoltoso.
Armi di questo tipo sono proibite dalle convenzioni internazionali. Gli USA hanno usato su larga scala le cluster-bomb in Vietnam, Jugoslavia, Afghanistan. Gli Stati Uniti si sono rifiutati di aderire alla Convenzione per la messa al bando delle mine anti-uomo, varata dalla Conferenza di Ottawa del dicembre 1997 poiché pretendevano che venissero escluse dal bando le mine sparse dalle bombe a grappolo.

FAE BOMB

Le FAE bomb, in prossimità del suolo, spargono una nuvola di aerosol combustibile (ossido di etilene) che incendiandosi produce un'onda d'urto molto più forte di quella prodotta da esplosivo convenzionale (tritolo). Inoltre riescono a creare un tale risucchio d'aria da uccidere, svuotandone i polmoni, anche le persone che si trovano al riparo.


CON LE  DITTATURE, CONTRO LE DEMOCRAZIE

Mentre si considerano se stessi “il paese più libero del mondo” e motivano retoricamente ogni proprio intervento “in difesa della libertà”,  gli Stati Uniti hanno appoggiato, dal 1945, i peggiori dittatori del  pianeta. Attraverso i propri agenti (CIA) e consiglieri militari preparano la loro salita al potere attraverso colpi di stato, e collaborano all'eliminazione di ogni opposizione politica  tramite arresti, massacri, torture. In cambio ottengono la concessione di basi militari e una politica economica che consenta alle multinazionali americane di sfruttare liberamente le risorse del paese e una manodopera privata delle libertà sindacali.  L'elenco di questi casi è lunghissimo.
Con lo spauracchio della “minaccia comunista” gli USA cercano di eliminare qualunque tentativo dei popoli per liberarsi dal colonialismo e dallo sfruttamento, e per cercare alternative politiche ad un capitalismo asservito alle Grandi Potenze. Accusano i comunisti e ogni altra formazione politica che cerchi alternative al capitalismo di prendere il potere con la forza e di non mantenere le libertà democratiche, ma in realtà impediscono a qualunque partito di sinistra di andare al potere anche tramite libere elezioni. Fra le decine e decine di interventi di questo tipo ricordiamo i più noti:

Vietnam 1954-1975



GIUSTIZIA KILLER E AMBIGUITA' GUERRA-OPERAZIONE DI POLIZIA

Nello scacchiere mondiale gli USA  (imitati da Israele) giocano sempre di più sull'ambiguità fra diritto e uso della forza, fra operazione di polizia e atto di guerra, fra esercizio della giustizia e assassinio.
Annullando nella pratica le norme più elementari del diritto, la Casa Bianca ci riporta indietro di molti secoli, riproponendo la barbarie della propria idea di giustizia. Persone sgradite al governo di Washington vengono accusate senza prove di certi reati, condannate a morte con una semplice dichiarazione, e l'esercito degli Stati Uniti si ritiene in diritto di intervenire nel territorio di qualunque paese del mondo per eseguire queste condanne a morte, anche uccidendo anche migliaia di altre persone innocenti.
  • 1980. Un tentativo di abbattere l'aereo su cui viaggia il presidente libico Gheddafi, operazione nella quale sono coinvolti aerei USA e della NATO, si conclude con l'abbattimento di un DC9 Itavia con 81 passeggeri a bordo. Dopo oltre vent'anni la magistratura sta ancora indagando sui fatti, lottando contro i depistaggi messi in atto dalla NATO per impedire che si faccia piena luce sulla  tragedia.
  • Dopo un attentato contro alcuni militari americani in Germania, gli USA accusano, senza prove, il presidente libico Gheddafi, bombardano Tripoli e Bengasi facendo molte vittime civili. Concentrando alcuni  attacchi sulla sua residenza, tentano di uccidere lo stesso Gheddafi, colpendo a morte una sua giovane figlia.
  • Durante la guerra del Golfo del 1991, gli USA tentano disperatamente di uccidere Saddam Hussein, e questa ossessione li spinge a colpire diversi obbiettivi civili (Amiria).
  • Nel corso dell'intervento in Jugoslavia del 1999 viene bombardata l'abitazione del presidente Milosevic.
  • L'intervento in Afghanistan del 2001-2002 viene giustificato col tentativo di uccidere Bin Laden e i membri di Al Qaeda, accusati, senza prove, di essere gli esecutori degli attentati dell'11 settembre in USA (solo successivamente Bin Laden rivendicherà gli attentati). I Talebani vengono sterminati solo perché, prima di consegnare Bin Laden, chiedono - come farebbe qualunque governo - che vengano fornite le prove della sua colpevolezza. Il Mullah Omar, per il semplice fatto di essere leader dei Talebani, ricercato con tutti i mezzi per l'uccisine immediata, è obbiettivo (mancato, sembra) di innumerevoli missili e bombe teleguidate.
  • Il 4 novembre 2002 Saed Sunian al-Harthi, presunto membro di Al Qaeda, individuato nello Yemen dalle telecamere di un aereo teleguidato  Predator viene ucciso, assieme a cinque persone che viaggiano con lui, lanciando un missile “Hellfire” che  incenerisce la loro auto.
L'assassinio senza prove e senza processo, e con coinvolgimento di altre persone innocenti, è diventato una prassi normale per gli USA.
Anche la pratica di intraprendere azioni militari di attacco senza che vi sia una dichiarazione di guerra, consente agli Stati Uniti ogni abuso. Il riconoscimento dello stato di guerra o meno, è essenziale ai fini del diritto penale. Per il giudice, chi uccide è un assassino in tempo di pace, non lo è invece il combattente in guerra, da qualunque parte stia.
Maestro di criminale doppiezza è il governo israeliano: soldati di Tel Aviv quasi ogni giorno attaccano città palestinesi uccidendo sia uomini in armi che civili (persino un giornalista italiano): per quelle stragi ma non vengono giudicati. Quando invece gli stessi soldati catturano palestinesi accusati di avere sparato o messo bombe, o di detenere semplicemente armi, li consegnano ai tribunali che li giudicano come criminali comuni.
I prigionieri catturati in Afghanistan sono com­battenti, peraltro di una nazione aggredita. Secondo le norme del diritto internazionale non possono neppure essere interrogati, e alla fine del conflitto, devono essere liberati. Invece sono stati trasportati nella base USA di Guantanamo, tenuti in condizioni inumane (perennemente con i piedi legati, in gabbie individuali,  all'aperto, totalmente isolati dagli altri e dal resto del mondo, interrogati e probabilmente torturati. Ven­gono giudicati da uno speciale tribunale militare senza che alcuno possa tute­lare i loro diritti ele­mentari (non vengono riconosciuti loro né le tutele dei prigionieri di guerra, né quelle dei criminali comuni). Tuttavia uno dei  prigionieri, John Walker Lindh, essendo di nazionalità americana, è stato separato dagli altri, portato in patria, e giudicato - con una certa clemenza - da un normale tribunale civile.
Gli attentati dell'11 settembre 2001 sono stati presi a pretesto dal governo americano per sospendere, in caso di persone sospettate di terrorismo internazionale, ogni garanzia giuridica, e avviare arresti e detenzioni coperte da segreto.
Ma peggiore sorte è toccata a circa 3000 Talebani catturati a Mazar-I-Sharif: prima sono stati dalle forze speciali USA interrogati e torturati con percosse per indurli a fornire informazioni su Al Qaeda; poi, da reparti di una milizia locale afgana  ma alla presenza di diversi militari americani, sono stati rinchiusi per diversi giorni in container; e in parte lasciati morire di fame, disidratazione o mancanza d'aria, in parte passati per le armi e sepolti in una grande fossa a Dasht Leili.

Dopo che gli Accordi di Ginevra hanno stabilito l'indizione di libere elezioni per arrivare alla riunificazione del paese sotto un unico governo democraticamente riconosciuto, gli USA intervengono nel Sud instaurando una feroce dittatura (Diem, e successivamente Van Thieu), impedendo le elezioni con la motivazione che… l'80% dei Vietnamiti voterebbe per Ho Chi Minh, comunista. La ribellione dei Vietnamiti contro Diem scatena una guerra civile, in cui dal 1965 gli Stati Uniti intervengono con proprie truppe sempre più massicciamente, causando un enorme numero di morti e incalcolabili distruzioni, uscendone comunque sconfitti nel 1975.
Guatemala
Gli USA rovesciano il governo liberamente eletto di imponendo il dittatore . Durante il golpe, aerei americani da cui sono state cancellate le insegne, bombardano la capitale facendo centinaia di vittime.
Cile 1970-1973
La coalizione “Unidad Popular” (socialisti, comunisti, cattolici di sinistra) ottiene la maggioranza alle elezioni, e diventa presidente Salvador Allende. Gli USA perdono così il controllo delle miniere del paese, uno dei principali produttori di rame. Con un'operazione accuratamente predisposta dalla CIA attuano, tramite il generale Pinochet, un colpo di stato (settembre 1973) che instaura una feroce dittatura. Allende viene subito ucciso, e con lui migliaia di cileni vengono incarcerati, torturati, uccisi.
Nicaragua (1979 - 1989)


  • Attraverso l'addestramento, l'equipaggiamento e l'infiltrazione di terroristi (Contras)  gli USA cercano di danneggiare in qualunque modo l'economia del paese e di demoralizzare la popolazione per far cadere il governo sandinista del paese. Il governo, che ha un enorme consenso popolare, è definito “dittatura”. Ma quando vi si svolgono libere elezioni, e i sandinisti stravincono con il 66% dei voti, l'intervento americano continua come prima. 


  •