giovedì 28 settembre 2017

BANKSTERS / IN ARRIVO UNA TEMPESTA PERFETTA

BANKSTERS / IN ARRIVO UNA TEMPESTA PERFETTA




di Enrico Montermini.

Nietzsche direbbe: avete capito cosa sta succedendo? - Non lo avete capito!

Il sistema bancario europeo è fallito. La Deutsche Bank possiede titoli tossici per 54.700 miliardi di euro, pari a 20 volte il prodotto interno lordo tedesco e a 5 volte quello dell'intera Eurozona. Se la D.B. fallisce anche la Germania la segue a ruota. Se poi fallisce la Germania, allora fallisce l'Europa. Questo è ciò che i mezzi di informazione tacciono. Questo è lo spettro che si aggira dietro alle quinte del vertice europeo che si sta tenendo in questi giorni.

Ecco perchè la Francia, la Germania e - zitta zitta - pure la Gran Bretagna stanno cercando mucche da mungere. Polli da spennare. Fanciulli innocenti da sacrificare per saziare questo Moloch moderno, perennemente assetato di sangue: il sistema bancario internazionale.

Ripagare un debito fatto di carta moneta stampando altra carta moneta alla lunga è impossibile: prima o poi si dovranno toccare i beni dei cittadini. Lo ha scritto Giacinto Auriti. Ebbene quanto abbiamo visto in Grecia è solo una avvisaglia.

La maggior parte del debito pubblico greco era nelle mani delle banche francesi e tedesche: se quei titoli fossero divenuti spazzatura, il sistema bancario europeo sarebbe crollato. Decisi a vender cara la pelle, i governi di Parigi e Berlino rovesciarono su tutti i contribuenti europei i costi del cosiddetto "salvataggio" della Grecia.

Per riuscire nel loro piano frau Merkel e Sarkozy nel 2009 assecondarono con la loro condotta il panico dei mercati. Panico creato da certi signori a Wall Street e nella City. Il cosiddetto "contagio" si sparse a macchia d'olio colpendo l'Irlanda e tutta l'Europa del Sud. Con tale sistema si riuscì a vincolare tutti i Paesi d'Europa al salvataggio delle banche tedesche e francesi. Perché di questo stiamo parlando!



Il 2015 si chiude con gli scandali bancari italiani e il 2016 si aprirà con l'entrata in vigore della nuova normativa europea che prevede, in caso di fallimento, che anche i correntisti sopra i 100.000 euro si facciano carico delle insolvenze della banche.

Il nostro governo afferma che quando la delibera fu approvata l'Italia votò a favore in cambio della costituzione di un fondo europeo di garanzia. Tale impegno, secondo Renzi, fu assunto solennemente dalla Merkel. Quest'ultima però nega e pretende il rispetto puro e semplice degli impegni da noi sottoscritti. Senza sé e senza ma!

Come sempre, quando sentono l'odore del sangue i cani da guardia dell'Austerity escono allo scoperto per abbaiare alla luna. Personaggi vicino al ministro Scheuble caldeggiano la soluzione di un fallimento delle banche italiane, che i correntisti risanerebbero per permettere al sistema bancario italiano di rifinanziarsi.Con queste dichiarazioni l'obbiettivo ora si fa palese: distruggere il risparmio delle famiglie italiane, che è ciò che il sistema-Italia ha a garanzia dei suoi debiti e la Germania non può vantare. Almeno non nella stessa misura.
Il fallimento pilotato del sistema bancario italiano permetterebbe alle banche tedesche, francesi e inglesi di entrare nel capitale delle banche italiane e di prenderne il controllo. Le acquisterebbero a prezzo di saldo. E la differenza sarebbe pagata proprio dal risparmiatore italiano. A quel punto un bel po' di titoli tossici ora in pancia alla Deutsche Bank potrebbe essere smaltito sul mercato italiano. E pure il fondo europeo di garanzia, nel nuovo scenario appena descritto, diventerebbe non solo possibile ma anche bene accetto ai governi di Parigi e Berlino.

Concedere alle banche francesi, inglesi e tedesche di mettere le mani sul sistema bancario italiano e di farlo a spese delle famiglie italiane significa:

1)      gettare sul lastrico le famiglie italiane, proprio come è accaduto in Grecia;

2)       aprire una falla gigantesca per esportare all'estero i capitali che dovrebbero servire per sostenere il sistema produttivo italiano e il mercato interno. Capitali che, naturalmente, finirebbero per sostenere le industrie tedesche e francesi, non le nostre, e i consumatori di altri Paesi "che hanno fatto i compiti a casa";

3)       privare l'Italia dell'ultima carta rimasta a garanzia del proprio debito pubblico - e cioè la capacità di acquisto di titoli da parte delle nostre banche - per ridurci alla mercé del FMI e della BCE. Proprio come la Grecia (per chi non lo avesse capito).

4)      Agitare lo spauracchio del debito pubblico dell'Italia è un deliberato inganno per provocare e giustificare le più assurde manovre speculative contro di noi. Imporre il rigore agli italiani spendaccioni è un escamotage per dare credibilità all'Euro. Perchè solo tale credibilità può rimandare il default della Dutsche Bank.




Qualcuno deve pagare per un default: toccherà ai frivoli italiani, colpevoli di aver tollerato governi che spendevano più di quanto potevano? O ai malvagi tedeschi, che plaudono alla Merkel che affama gli altri popoli, anzichè pagare il conto per le speculazioni selvagge delle proprie banche?

Ai posteri l'ardua sentenza. Io sento odore di bruciato. E' l'odore del napalm che ci piove in testa. Assieme alla merda. Come sempre accade in guerra. L'Italia è sotto attacco: non resta che mettersi l'elmetto in testa e contrattaccare!

Enrico Montermini



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domenica 24 settembre 2017

Più forte del fuoco. LA SCRITTA DVX splende ancora sul Monte Giano

Più forte del fuoco. La scritta DVX splende ancora sul Monte Giano

Roma, 23 set – E’ ancora lì, nonostante le fiamme che hanno devastato il Monte Giano. La maestosa scritta DVX era tornata visibile con la prima neve pochi giorni fa ad Androloco. Faceva ancora bella mostra di sé, messa in evidenza dalla copertura bianca che aveva avvolto la cima della montagna. Adesso però, come si può notare dalla foto, resta evidente anche senza la neve.
Gli inquirenti non sono ancora riusciti a risalire all’identità dei piromani che hanno appiccato l’incendio. Nel frattempo CasaPound ha lanciato una raccolta fondi per ripristinare la scritta interamente perché oltre al danneggiamento della scritta vi è un danno non indifferente al patrimonio naturalistico e artistico. La scritta DVX fu infatti realizzata in omaggio a Benito Mussolini nel 1939, con 20 mila abeti piantati su un’area di 8 ettari dagli allievi della Scuola delle Guardie Forestale di Cittaducale. È talmente imponente che è visibile nelle giornate più terse persino da Roma, dal Gianicolo e da Monte Mario, che dista 80 chilometri da Antrodoco. Da sempre al centro di aspre polemiche, la scritta è unanimemente considerata patrimonio artistico e monumentale naturale, oltre che parte dell’identità di Androloco.
Incredibilmente, nonostante il drammatico incendio, la scritta è ancora evidente sul Monte Giano ma è altrettanto chiaro, anche dalla foto che pubblichiamo, come l’area boschiva attorno sia fortemente danneggiata e di conseguenza da riqualificare al più presto.

mercoledì 20 settembre 2017

Franco Grechi LA MASCOTTE DEL BARBARIGO



 Franco Grechi, tra i più giovani aderenti alla RSI quale dodicenne mascotte del Battaglione Barbarigo della Decima MAS.
Nato nel 1932, e con il padre ufficiale, nel febbraio 1944, infatti, il giovanissimo Grechi si presentò all’ufficio arruolamento della Xa MAS a La Spezia, chiedendo di essere arruolato in quel corpo militare che non aveva abbassato la bandiera, rimandendo in armi e guadagnandosi il rispetto dei tedeschi, che ritenevano, non a torto, di essere stati traditi dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943.

Davanti all’incredulità dell’ufficiale di giornata, il quale ovviamente, seppur comprendendo le ragioni ideali di quel gesto, stava respingendo il ragazzino che gli si era parato davanti, Grechi, pur di farsi arruolare, si inventò di essere rimasto orfano dopo un bombardamento Alleato (ipotesi purtroppo realistica, viste le decine di migliaia di civili italiani rimasti uccisi dalle bombe dei “Liberatori”) e di non aver nessuno da cui andare.
E, nelle parole di Grechi, “lui prese per buona la bugia; sentiti altri pareri fu deciso di adottarmi: non potevano mica cacciare un povero orfano!”. Così Grechi fu arruolato, rivestito di una uniforme grigioverde “su misura” e fregiato dello scudetto da braccio della Xa MAS: quello scudetto con la X rossa e il teschio con la rosa in bocca, “perché la morte per noi è una cosa bella profumata… come una rosa!”, nelle parole della Medaglia d’Oro al Valor Militare comandante Salvatore Todaro, caduto in missione nel 1942.
E quando alla fine del mese il Barbarigo partì per la testa di ponte di Nettuno, prima unità militare della RSI a andare al fronte, dove infuriavano i combattimenti tra i tedeschi e le forze Alleate lì sbarcate, il marò Grechi seguì i suoi camerati verso il nemico.
Ovviamente, gli ufficiali del reparto tennero il marò-bambino presso il comando di Battaglione, per preservarlo dai combattimenti in prima linea: tuttavia, Grechi sopportò per mesi e senza cedere gli attacchi aerei e d’artiglieria, la fame, la carenza di sonno, il freddo e le intemperie di quell’inverno, prove che avrebbero spezzato uomini ben più forti di quel ragazzino.
Poi venne lo sfondamento Alleato, e la ritirata verso Roma e il ritorno a La Spezia dei superstiti del Battaglione, poco più di cinquecento sui mille partiti: i ragazzi del Barbarigo aveva pagato con 200 morti, 200 feriti e 100 dispersi il suo ostinarsi a non cedere davanti al “rullo compressore” Alleato davanti a Roma.
Ecco come Franco Grechi ricordava questo periodo in una intervista rilasciata anni fa (in Daniele Lembo, I fantasmi di Nettunia, Roma, 2000):
Dov’era alla data dell’8 settembre 1943 e che cosa ha provato all’annuncio della resa?
“A casa. Una grande vergogna”.
Dopo l’8 settembre 1943 in quale reparto si è arruolato e perché?
“Reparto di arruolamento Barbarigo Xa MAS – San Bartolomeo – La Spezia. Mascotte a causa dell’età minorile e figlio di ufficiale”.
Se è stato impiegato sul fronte di Anzio-Nettuno quali sono i suoi ricordi di quei giorni e di quei fatti d’arme?
“Giornate tremende, spirito elevatissimo e grande cameratismo. Zona Lago Fogliano”.
Dopo l’8 settembre 1943 ha mai creduto che gli italo tedeschi potessero ancora vincere la guerra e se non lo ha creduto perché ha continuato a combattere?
“Minime le speranze di vittoria, ma si combatteva per l’onore”.
Dopo la guerra, Grechi rimase una figura di spicco nell’ambiente dei veterani della RSI, e in specie tra gli ex combattenti della Xa MAS, contribuendo con la sua orgogliosa testimonianza a tener vivo il ricordo di quei combattenti dell’Onore e delle loro battaglie.
E´ morto a 83 anni.
Lo ricordiamo con le parole del comandante del Battaglione Barbarigo, MOVM della RSI e MBVM Umberto Bardelli: “Nessuno di voi è morto finché noi non moriremo tutti. E fino a quando sarà in piedi uno del ‘Barbarigo’ lo sarete anche voi”.

Andrea Lombardi

lunedì 18 settembre 2017

“Antichi romani africani” e altre balle moderne (smentite dalle fonti)

“Antichi romani africani” e altre balle moderne (smentite dalle fonti)

Roma, 12 ago – Grande eco sui quotidiani italiani schierati a guardia del politically correct e della bontà di una società multi-etnica, ha destato in questi giorni la vicenda di un cartoon apparso per una serie prodotta e realizzata dalla britannica BBC (cioè la TV di stato) all’interno di un documentario educativo (anzi, ri-educativo, secondo una tendenza moraleggiante contemporanea) sulla storia inglese, risalente però al 2014. Protagonista della parte relativa alla dominazione romana della provincia della Britannia è un soldato. E fin qui nulla di strano, giacché, come noto gran parte dell’isola, fu conquistata (e aggiungiamo, civilizzata) dai romani, i quali dovettero trasferirvi ingenti quantità di uomini e truppe per domare le continue ribellioni delle tribù locali. Ma ciò che ha scatenato feroci polemiche è l’immagine di un frammento tratto dal cartoon, che circola ormai ovunque. Il protagonista, infatti è un militare di rango superiore (come si può notare dall’uniforme, una corazza sagomata in bronzo riservata agli ufficiali romani, dal grado di centurione in su, come i legati, i tribuni militari o i comandanti stessi di legione). E costui ha le fattezze di un africano di pelle scura, circondato, in un idilliaco, quanto fasullo, quadretto di serenità familiare, dalla moglie, presumibilmente di etnia caucasica e da due figlioletti,ovviamente mulatti.
Il messaggio neppure tanto nascosto, che ci propone questa vignetta è che nel mondo romano, non v’era alcuna distinzione di razza e che la commistione tra etnie era piuttosto la normalità che l’eccezione, in un quadro di assoluta armonia, senza distinzione alcuna, tra civiltà, culture e popoli diversi. Naturalmente, l’immagine ha suscitato le perplessità e l’ironia di più di qualche semplice “odiatore da tastiera”, giacché si è rilevato, assai giustamente, come il protagonista molto difficilmente avrebbe potuto rappresentare il “tipo” del romano presente in Britannia in epoca imperiale. Chiariamo subito che la presenza di soldati africani di pelle scura nell’isola, non solo era possibile, ma è attestata da un curioso episodio presente nella Historia Augusta su cui torneremo a breve. Del resto sin da epoca repubblicana, i romani avevano sperimentato i vantaggi che comportava l’arruolamento di diverse popolazioni del bacino mediterraneo, come ausiliari. Va a dire, come indica il termine stesso di auxilia, non legionari, ché tale titolo spettava e spetterà sempre ai soli appartenenti alla civitas, lo status di civis romanus trasmettendosi solo iure sanguinis: e ciò valeva anche per i figli di schiavi, eventualmente manomessi, cioè liberati dalla condizione di schiavitù, ma non per i genitori. A cominciare, proprio, da etnie africane, come i cavalieri numidi giunti in Italia a seguito dell’esercito annibalico durante la seconda guerra punica, famosi per la loro abilità come cavalleggeri: settore, come noto, che rappresentò sempre un tallone d’achille delle armi propriamente romane e che fu colmato ricorrendo al massiccio utilizzo di provetti cavalieri, specie di origine orientale.
Del resto osservando uno dei documenti artistici di maggior importanza per lo studio della composizione e struttura dell’esercito romano, ossia la famosa colonna Traiana, vi si può notare la presenza di cavalieri armati alla leggera, dalle fattezze straniere e identificabili per i capelli a treccine: si tratta degli equites mauri feroces, provenienti dalla Mauretania e organizzati in alae ausiliarie. Ma appunto qui sta il problema: mentre il trasferimento e rotazione delle legioni e delle relative truppe ausiliarie, lungo tutti i territori della res publica imperiale, garantivano che diverse etnie si potessero trasferire anche in Britannia, è del tutto improbabile che ciò abbia dato luogo a stanziamenti numerosi di popolazioni africane di pelle scura nell’isola. Anche perché cavalieri numidi e mauretani o altri reparti ausiliari, quand’anche giunti nell’attuale Inghilterra, si caratterizzavano per tratti somatici ben diversi da quelli delle razze sub-sahariane: pelle più chiara, caratteri etnici più vicini a quelli europeo-caucasici (si vedano ad esempio i ritratti lignei provenienti dalla zona di Fayyum in Egitto e risalenti all’epoca basso imperiale, i cui visi ricordano i tratti europei).
C’è un episodio, come dicevamo, che ci pare chiarisca molto bene l’assoluta rarità ed eccezionalità del tipo rappresentato nel fumetto. Quando l’imperatore Settimio Severo ormai si avvicinava alla fine del suo principato (193-211 d.C.) fu colto da numerosi omina mortis, cioè presagi di morte, secondo una tecnica letteraria presente negli Scriptores Historiae Augustae. Uno di questi avvenne nei pressi di Luguvallum (l’attuale Carlisle) allorché un soldato di razza etiope, scurissimo, gli si fece incontro con una ghirlanda formata con rami di cipresso: e l’imperatore ne ebbe un presagio funesto, dato non solo dalla corona offertagli (il cipresso, è noto si trova in luoghi funerei) ma dal colore della pelle nera, essendo considerato a Roma quel colore, assai poco fausto nella tradizione religiosa latina. Di talché l’imperatore diede ordine che quell’uomo fosse immediatamente rimosso dalla sua vista (SHA, Sev. 22: Aethiops quidam e numero militari, clarae inter scurras famae et celebratorum semper iocorum, cum corona e cupressu facta eidem occurrit. quem cum ille iratus removeri ab oculis praecepisset, et coloris eius tactus omine). Non ci dilungheremo su quest’ultimo aspetto, se non per rilevare che il racconto indica l’assoluta eccezionalità di una presenza di uomini dalla pelle nera presso l’esercito romano. E come un tale aspetto fosse tutt’altro che gradevole, persino per chi, come un Settimio Severo, secondo una vulgata stereotipata, ma poco in linea con la realtà dei fatti, sarebbe stato anch’esso di pelle scura (rimandiamo alla bella monografia si Anthony Birley, purtroppo inedita in Italia: Septimius Severus, The African Emperor per i dettagli).
Ma c’è anche un altro particolare contenuto nel racconto: quell’anonimo soldato etiope era considerato da tutti una sorta di buffone e il suo rango sociale era ritenuto infimo. Il che ci conduce a un’altra riflessione, suggerita anche dall’intervento di Mary Beard nella vicenda, anche se dobbiamo chiarire come si tratti di studiosa estremamente preparata e autrice di eccellenti ricerche nel campo della religione dapprima e della storia romana poi (The Roman Triumph, SPQR essendo i suoi titoli più recenti, che denotano però uno scadimento della stessa verso posizioni iper-critiche di stampo anglo-sassone). In effetti a difesa, della pretesa veridicità del cartoon, si è schierata l’accademica inglese, provocando gridolini di giubilo e toni trionfalistici da parte dell’articolista de La Repubblica dell’8 agosto che si è spinta sino a titolare il suo pezzo, piuttosto comicamente, Fatevene una ragione: gli antichi romani erano molto africani (persino in Britannia)“. Secondo la tesi della Beard non solo il cartoon sarebbe corretto, ma esso potrebbe ritrarre un personaggio storico romano di grande importanza, ossia il governatore della Britannia tra il 139 e il 142 d.C. (regnante l’ottimo Antonino Pio), Quinto Lollio Urbico, nativo di Tiddis (l’antica colonia romana di Castellum Tidditanorum) all’epoca situata nella provincia della Numidia, oggi Algeria e perciò, secondo la storica inglese, berbero. Già.
Peccato che Lollio Urbico fosse discendente di famiglie romane appartenenti a due gentes italiche, quella dei Lolli (laziale) e quella dei Granii (campana), le quali all’epoca della deduzione della Respublica IIII coloniarum Cirtensium, si trasferirono nella provincia numidica (per i particolari si rimanda alla biografia di Lollio Urbico in A.Birley, The Roman Government of Britain, Oxford, Oxford University Press, 2005, pp. 136-140). Peraltro, poiché non sappiamo assolutamente nulla circa una discendenza da parte di Lollio Urbico, a fortiori il disegno non può certo rappresentare questo valente uomo romano, che fu al comando anche in Giudea, stroncando la ribellione scoppiata sotto Adriano, e delegato al comando della Pannonia e in Germania, si guadagnò la fama di ottimo generale e amministratore nei punti più caldi dell’Impero. Questo penoso infortunio storico, dimostra una volta di più quali rischi corra l’attuale ricerca storica, dominata, quasi ossessionata, dall’idea di dover ritrovare nella nostra storia avita, anche laddove non esista alcun serio appiglio, le giustificazioni morali di una fantasia tutta moderna. Piuttosto che andar alla ricerca di fantasmi e storielle inventate, sarebbe il caso che gli studiosi, si concentrassero sui dati disponibili e noti da tempo.
Proprio la presenza di qualche ausiliario di origine africana in una provincia lontana come la Britannia, dovrebbe rammentare che esisteva anche una cittadinanza che si poteva ottenere per particolari meriti resi alla res publica romana. Così ad esempio, a socii e alleati italici di Roma che si fossero impegnati a combattere a fianco dell’Urbe, poteva essere garantita la civitas, proprio per premiare la fedeltà e l’impegno dimostrati nei confronti della stessa. Un principio che sta alla base e ritroviamo nel sistema dei diplomi militari che venivano dati agli ausiliari che combattevano per Roma. Dopo 25 anni di servizio, essi venivano congedati con tutti gli onori nel corso di una cerimonia di fronte all’unità schierata (honesta missio) e veniva loro consegnata una tavoletta incisa su bronzo, su due facciate. Con essa era concessa la cittadinanza romana, la quale, si noti bene, poteva essere trasmessa ai figli, ma non alla moglie del milite. Circostanza ancor più notevole il fatto che una copia del diploma veniva esposta su una grande tavole bronzea a Roma: l’onore e onere di acquisire la cittadinanza romana era considerato un fatto così importante, da essere oggetto di una deliberazione del principe e divenire un atto pubblico (cioè una costituzione e come tale così ancora considerata nei manuali di diritto pubblico romano moderni). Ed essa riguardava singoli soggetti che avevano meritato quel provvedimento, per quanto conosciamo anche interi gruppi di uomini (come ad esempio commercianti e marinai incaricati di rifornire di grano Roma, dall’Egitto) cui poteva andare la cittadinanza.
Ma così come poteva acquisirsi per meriti, la civitas si perdeva per propri demeriti, persino tra romani per discendenza. Ad esempio magistrati o cittadini che si fossero resi colpevoli di crimini particolarmente odiosi (come il crimen de repetundiis, cioè vessazioni e concussioni a danno dei provinciali), oppure quando si veniva catturati dal nemico. E oggi si vorrebbe concedere la cittadinanza indistintamente, con un voto parlamentare da parte di un branco di uomini, di cui molti, visti i ben noti precedenti penali, ne sarebbero stati privati? A chi poi? A migliaia di persone che conoscono a malapena la lingua italiana e che in cuor loro, diciamocelo, ci disprezzano profondamente, La domanda da porsi allora è questa: quanti di costoro sarebbero pronti a prendere le armi o a impegnarsi davvero per la difesa dei nostri confini, della loro patria acquisita? A dar prova di una honesta missio? Ben pochi, c’è da starne sicuri.”A Tiberio che gli chiedeva la cittadinanza per un suo cliente greco, [Augusto] rispose che non gliel’avrebbe concessa se non quando a viva voce gli avesse dimostrato quanto fossero giusti i motivi della richiesta; la negò anche a Livia che la chiedeva per un Gallo tributario: in cambio offrì l’esenzione dai tributi, sostenendo che avrebbe tollerato meglio che si sottraesse qualcosa al fisco, piuttosto che si profanasse la dignità del cittadino romano”(Svetonio Div. Aug. 40). Parole da scolpire, parole da scrivere, ovunque. Ma loro avevano un Cesare Ottaviano Augusto, noi Gentiloni.
Stefano Bianchi

                                                                                                                                          

venerdì 15 settembre 2017

FACCE DI BRONZO E CERVELLI SCARSI

FACCE DI BRONZO E CERVELLI  SCARSI


Emanuele Fiano, parlamentare del PD ha proposto una legge che punisce chi vende o detiene gadget del ventennio Fascista dimostrando scarsa intelligenza e nessun rispetto per quella libertà di opinione che l’antifascismo dice a parole di difendere.
A parte ogni considerazione storica e politica, l’onorevole (?) Emanuele Fiano ha una bella faccia di bronzo dato che condanna coloro che hanno nostalgia di un ventennio di storia italiana, ma NON  dice nulla sulle SUE origini politiche che si rifanno al comunismo di Giuseppe Stalin che ha provocato cento milioni di morti sia con le persecuzioni in URSS che, dopo la guerra, con le purghe ed i massacri nei paesi dell’est,
Qual comunismo cui i compagni di Emanuele Fiano plaudivano quando sterminava i dissenzienti a Stettino, in Cecoslovacchia o quando maciullava sotto i cingoli dei carri armati sovietici i patrioti di Ungheria, o che scendeva nelle piazze italiane a plaudire alle invasioni comuniste della Corea, del Vietnam e del Laos!!
Il Fascismo ha sbagliato a fare la guerra?
Ed il comunismo di Emanuele Fiano quante guerra ha fatto in tutto il mondo..??!!
Si vede che l’onorevole(?) Emanuele Fiano ha conservato nella sua  testa addomesticata dal Comunismo gli insegnamenti del compagno Lenin che diceva: ” La menzogna in bocca ad un comunista è una verità rivoluzionaria..”
Certo che se a ometti come Emanuele Fiano il ricordo del Fascismo fa ancora tanta paura dopo 72 anni dalla sua caduta, significa che il confronto tra quel modo di governare e quello attuato  dai compagnucci di Emanuele Fiano nel dopo guerra NON gioca a favore di questi ultimi se no non si sentirebbe il bisogno di cercare di cancellarne il ricordo proibendone i simboli..!!
Ad Emanuele Fiano, in risposta alla sua proposta di legge lasciamo un motto del ventennio      “ ME NE FREGO ..!! “

Alessandro Mezzano